“Secondo
i sostenitori della dottrina del ‘Vuoto’ (śūnyavāda)
tutto considerato esistono due fonti di conoscenza, due specie di esperienza o
due forme di verità (satyā) e se non
le riconosciamo, non potremo mai risolvere il problema della contraddizione
logica che, se espressa in parole, caratterizza tutte le esperienze religiose.
Questa contraddizione, che tanto preoccupa il normale modo di pensare, deriva
dal fatto che noi dobbiamo usare il linguaggio per comunicare le nostre
esperienze interiori che, nella loro vera natura, trascendono il linguaggio. […]
Il
linguaggio si è sviluppato dapprima ad uso di un primo tipo di conoscenza che
era del tutto utilitaristico e, in ragione di ciò, si è affermato in tutti i
problemi e le esperienze umane. La sua autorità è tale che noi siamo giunti ad
accettare qualsiasi cosa il linguaggio ci imponga. I nostri pensieri devono ora
modellarsi sui suoi dettami, i nostri atti devono essere regolati sulle norme
che esso formula per il proprio efficace funzionamento. Ma c’è di peggio: il
linguaggio è giunto persino a sopprimere la verità delle nuove esperienze e
quando queste si verificano nella realtà esso le condanna come ‘illogiche’ o ‘impensabili’,
quindi false, e pertanto esso tenterà di allontanare ogni cosa nuova
considerandola di nessun valore umano.”
D.T. SUZUKI
(Misticismo cristiano e buddhista, Roma
1971, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore, p. 44)
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