Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco.
Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo"
(predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo"
(ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro,
suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco
dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente
"culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali,
da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione
intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al
proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco
de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha
fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia
stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha
dato Francesco Petrarca (pensiero o fantasma amoroso).
Caratteristiche generali del Barocco spagnolo
Si tratta di un'epoca priva di centro. Basti
pensare alla di poco precedente filosofia di Giordano Bruno, che dipinse
l'universo come infinito e popolato di innumerevoli altri mondi, oltre alla
Terra: "Cossì non è più centro la terra che qualsivoglia altro corpo
mondano" ("De l'infinito universo et mondi").
La visione del mondo è labirintica: la natura è un
intreccio di segreti cifrati, da decodificare faticosamente. A questo scopo
tendono i sillogismi della tradizionale filosofia Scolastica, l'esegesi
biblica, lo spirito di osservazione della scienza nuova. Il linguaggio è
visto come "filo di Arianna" di questo labirinto. Si spiegano così
gli "eccessi" barocchi. Luis de Gòngora adotta un linguaggio oscuro,
sovrappone linee metaforiche. Francisco de Quevedo contorce i significati, più
oltre in questa direzione si spingerà Baltasar Graciàn. Un discorso particolare
circa la parola forzata ad esprimere significati poco comprensibili vale per la
letteratura mistica. E' il caso di S.Juan de la Cruz: da lui, la parola
è contorta e amplificata per delineare l'esperienza mistica, e si avverte la
frustrazione per l'inutilità degli sforzi. Tuttavia, il concettismo barocco è
spesso svincolato dai contenuti: si tratta piuttosto di irretire il lettore in
un complicato gioco di immagini volutamente fine a se stesso, alla ricerca del
mero stupefacente. In questo modo, la letteratura rivendica un proprio campo
autonomo, distinto da altri (filosofia, scienza, teologia, pedagogia...).
Il Barocco è dominato dal senso dell'illusione,
della confusione tra realtà e irrealtà. L'uomo del Seicento non ha più
certezze. Ne è esempio il "Don Quijote" di Miguel de Cervantes, il
cui protagonista è incapace di distinguere tra il mondo circostante e il mondo
dei romanzi cavallereschi.
"Don Quijote"
Il romanzo fu composto in due parti: la prima nel 1605, la
seconda dieci anni dopo, con interposto un apocrifo di Avellaneda. Nasce
dall'intenzione di criticare parodicamente il mondo fittizio proposto
dall'antica tradizione dei romanzi cavallereschi. E' probabile che l'idea gli
sia stata suggerita dall'"Orlando furioso" di Ludovico Ariosto, che
lesse durante il viaggio in Italia nel 1569 al seguito del card. Acquaviva. Il
protagonista, esaltato dalla continua lettura di romanzi cavallereschi, decide
di farsi cavaliere errante. Prende il nome di Don Quijote de la Mancha, decide
di amare un'immaginaria dama di nome Dulcinea, prende come destriero il
malandato Rocinante. Agli occhi del "cavaliere", tutta la realtà si
trasfigura: celeberrimo è l'episodio dei mulini a vento scambiati per giganti.
A far da contraltare a don Quijote, c'è lo scudiero Sancho. Egli rappresenta la
realtà concreta, il senso comune. Inizialmente, l'ottica di don Quijote e
l'ottica di Sancho (come è prevedibile) si scontrano. Tuttavia, alla fine, si instaura
un dialogo. Il buonsenso di Sancho è relativo quanto la follia del cavaliere:
la "realtà" dello scudiero è, talvolta, poco salda, mentre la pazzia
di don Quijote ha il pregio d'essere generosa (paragonabile a quella che si
meritò il famoso "Elogio" di Erasmo). Alla fine, Sancho si lascia
coinvolgere dalla fantasia del cavaliere, mentre questi risente dell'influsso
dello scudiero aprendosi al dubbio e assumendo una maggiore coscienza di se
stesso. Il "Don Quijote" si propone di far interagire la realtà e la
fantasia. Non solo: il mondo fiabesco dei romanzi serve a smascherare la
bassezza delle cose e dei valori del presente. Nell'opera, il Cavaliere degli
Specchi esprime così la propria ammirazione: "Non posso persuadermi che vi
sia sulla terra chi soccorra vedove, difenda donzelle, salvaguardi l'onore di
maritate e protegga orfani. E non lo crederei se non avessi visto con i miei
occhi vostra signoria". Il "Don Quijote", così, rivela non solo
gli inganni dei libri, ma anche quelli della realtà.
Don Quijote, nella storia, diverrà protagonista di un
romanzo basato sulle sue peripezie. Si ritroverà così a rileggere la propria
vita, preoccupandosi soprattutto della veridicità e convenienza del racconto.
Ma avrà l'amara sorpresa di scoprire, nella seconda parte di tale romanzo, che
un impostore ha usurpato il suo nome. Prima di rinsavire e morire, don Quijote
chiederà ad un notaio che gli venga restituita la propria identità. Qualcosa di
simile accade in una tragedia elisabettiana, "Hamlet, Prince of Denmark"
di W. Shakespeare. In essa, il protagonista assiste ad una recita che mette in
scena i punti salienti del suo dramma. Questo artificio insinua nel lettore o
spettatore il dubbio che, se un personaggio di carta può assistere alla
finzione della propria storia, egli stesso può essere una creatura fittizia e
non esistere.
Luis de Gòngora y Argote (1561-1627)
Figlio di bibliofilo, prese gli Ordini minori e fu poi
ordinato sacerdote (più per convenienza che per sincero desiderio). Viaggiò
dalla nativa Cordova a Salamanca, studiò diritto canonico. Fu dignitario di
molte e varie dignità, sia ecclesiastiche e di palazzo. Protagonista assoluto
della cultura della sua epoca, farà scuola anche presso gli oppugnatori come
Juan de Jàuregui. Fu attivo polemista e contraddittore dei maggiori fra i suoi
contemporanei. Recupera i temi della lirica rinascimentale, coronando la
tradizione. Il suo linguaggio è caratterizzato dall'intreccio di metafore,
metonimie, ellissi e iperbati, che lo rendono oltremodo oscuro. Rimproverato di
questo e di non rispettare la tradizionale corrispondenza fra stili e livelli,
Gòngora risponde orgogliosamente di volere, con il suo linguaggio oscuro,
sfidare gli ignoranti e mettere alla prova l'ingegno di chi fosse stato degno
di seguire la sua scuola. Nasce così il cenacolo gongorino. Le sue opere
principali sono due poemi: "Polifemo", che narra il non corrisposto
amore del ciclope per Galatea, e le "Soledades"
("Solitudini"), di cui Jàuregui biasima lo scarso realismo e l'umiltà
degli argomenti (galli, galline, pane, mele...) rispetto alla preziosità di
stile e linguaggio
Francisco de Quevedo y Villegas (1580-1645)
Principale avversario e oppugnatore di Gòngora. Nacque a
Torre de Juan Abad, dove vide il declino del proprio casato. A vent'anni giunse
a corte., sulle orme del padre. Studiò al Colegio Imperial dei Gesuiti, poi
all'Università di Alcalà. Nel 1618 fu ammesso nell'Ordine di Santiago; ciò lo
portò a confrontare la gloria passata della Spagna a un presente che gli
appariva misero, dominato dal potere del denaro. Fu turbinosamente impegnato
nella vita politica. Nella sua personalità si uniscono tradizionalismo e
irrequetezza esistenziale ed intellettuale. La sua opera principale sono i
"Sogni". Ambientato in un Aldilà grottesco, è uno scritto allegorico
che mette in scena la meschinità del mondo. La funzione di guida è affidata al
Disinganno, personificato in un vecchio saggio. Ogni vizio è catalogato come
manifestazione dell'ipocrisia. Criticate, sullo stesso piano, sono soprattutto
l'ipocrisia femminile nell'uso dei cosmetici e l'ipocrisia dei poeti d'amore
che alterano l'aspetto della donna amata con metafore ormai meccaniche. Nei
"Sogni", insomma, sono solidamente agganciati due temi cari a
Quevedo, la polemica antifemminista e
quella letteraria. Esprime, invece, il proprio antimachiavellismo militante
nella "Polìtica de Dios" (1626) e l'esaltazione della monarchia nella
"Spagna difesa". Nella "Hora de todos" (1635) tratta il
tema della finzione onnipresente.Scrisse anche un noto romanzo picaresco, il
"Buscòn", in cui l'accumulo di iperboli mostra questa
derealizzazione.
Il romanzo picaresco
Si definisce così il romanzo avente per protagonisti i
"pìcari", cioè popolani sfrontati, astuti, buffi e furfanti. Il primo
del genere fu la "Vida de Lazarillo de Tormes", anonimo, pubblicata
nel 1553/54. A garantire la continuazione del genere, però, fu il "Guzmàn
de Alfarache" (1599). Se, mezzo secolo prima, la figura del pìcaro
appariva come eccezione, ora era la norma (ricordiamo la grande massa di
mendicanti che il '600 vide). Le regole del mondo picaresco (legge del
"saper vivere") si erano ormai rivelate pervasive. Il suo stile di
vita (girovagare senza meta per Spagna ed Europa, per es.) si presentava come possibile. Il gergo
picaresco di era affermato come variante del linguaggio letterario. Questo
genere, così intriso di spirito di disinganno, tende, insomma, a farsi
totalizzante. Vediamo:
·
"Guzmàn de Alfarache" (1599) di Mateo
Alemàn, sivigliano, viaggiatore tra Europa e America. Anche il suo personaggio
è irrequieto e instancabile girovago tra Spagna e Italia. Impressionante il
numero di miglia percorse, mestieri, locande e peripezie. Ampie le digressioni
edificanti (Guzmàn anziano ricorda e valuta il proprio passato): lettura
controriformistica;
·
"La pìcara Justina"(1599) di Francisco
Lopez de Ubeda. Capostipite della picaresca femminile. Come il precedente,
ricco di digressioni moraleggianti.;
·
"Marcos Obregòn" (1618) di Vicente
Espinel. Protagonista rabbonito e stravagante. Nessun intento edificante;
·
"El diablo cojuelo" (1641) di Luis
Vélez de Guevara. Un diavoletto faceto porta a spasso uno studente per i cieli
di Madrid, scoperchiando i tetti e svelando piccoli vizi e manie cittadine.
Il teatro barocco spagnolo
La cornice in cui si afferma il teatro barocco spagnolo è
soprattutto la città di Madrid. Una città in rapida espansione, nella quale si
riversano contadini sconfitti dal latifondo e dalla "Mesta"(la
potente corporazione di allevatori che impedisce un uso proficuo della
campagna. Vi arrivano anche piccoli nobili declassati e oziosi. Lo Stato
centralizzato, autoritario e controriformista passa di sconfitta in sconfitta
(il disastro dell'Invencible Armada, Rocroi in Francia). Amputazioni
territoriali, inflazioni, bancarotte, epidemie, fenomeni criminali. Davanti al
degrado sociale, si rafforzano i miti dell'"honra" e
dell'"honor", della purezza di sangue. Da qui, processi di
identificazione di massa. Si capisce, quindi, come sia importante il teatro in
quanto strumento di controllo: esso lega la fedeltà alla Corona all'ortodossia
religiosa e domina le masse popolari. Il teatro è anche il luogo
dell'artificio, della novità e della stupefazione (cari al gusto barocco),
dell'ostentazione della ricchezza e del potere.Il luogo del teatro è la piazza;
dagli edifici adiacenti vengono ricavati i palchi per gli spettatori di alto
rango. Si ricerca ciò che va incontro ai gusti del pubblico, assai
variegato (nobili, popolani...). Si rifiuta la tradizione (unità aristoteliche,
ripartizione in 5 atti, rigide delimitazioni di registri...). Da segnalare,
come autore, è Lope de Vega (1562-1635), che scrisse numerose e assai
varie opere. Le migliori sono i drammi storici. In essi, Lope aderisce al
legittimismo monarchico, all'ortodossia controriformistica, al conformismo
ideologico. Tuttavia, è molto vivace il dialogo con il pubblico, soprattutto
circa il tema della giustizia verso i ceti più deboli. Lope de Vega fece scuola
presso gli altri commediografi. Altro da segnalare è Pedro Calderòn de la
Barca (1600-1681). Della sua opera va notata l'assenza di quel sistema di
certezze che aveva contraddistinto Lope. Poeta del disinganno, nelle sue opere
il tema è la finzione che intride il vivere sociale. In questo senso, il suo
teatro rispecchia il mondo, mettendone in scena le finzioni. L'unica realtà,
per Calderòn, è il soprannaturale. (Teatro religioso. Teatralità della
teologia. Straniamento).
Ciao.
RispondiEliminaHo apprezzato molto il tuo post, che in modo apparentemente semplice, fornisce un'ottima panoramica della letteratura spagnola e (scusa il brutto neologismo) della spagnolita'.
Sto scrivendo un romanzo ambientato a Cagliari durante la dominazione spagnola, quindi come potrai capire, sono piuttosto sensibile al tema...
Buon fine settimana e grazie
Riccardo
Grazie a te, Riccardo! 😊 Non pensavo che questo vecchio "paper" dei tempi del liceo avrebbe potuto interessare tanto a qualcuno... Mi fa molto piacere che sia stato di tuo gradimento. Ti faccio i miei migliori auguri per il tuo romanzo, che sarà certamente interessante. 😊
EliminaMolto interessante quanto hai scritto, potresti anche consigliare qualche orientamento bibliografico? Te ne sarei molto grato, grazie
RispondiEliminaSalve! Grazie per l'apprezzamento! 😊 Purtroppo, non essendo specialista in lingua spagnola, posso solo consigliare i manuali (brevi, ma dettagliati) della Newton Compton, come questo: P.G. Crovetto, "Storia della letteratura spagnola", Tascabili Newton. Si trova usato su Ebay:
Eliminahttps://www.ebay.it/itm/143633981357 😊
Dimenticavo che c'è anche questo: "La letteratura spagnola dei secoli d'oro" di C. Samonà, G.Mancini, F. Guazzelli, A.Martinengo, BUR
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