E non ho voglia di
raccogliere i
frustuli
avanzati dalla mia anima,
che riportano, qua e là,
un lampo –una A,
una O- non più.
Il sole è troppo pigro
per collazionare i
testimoni
di un giorno ancora
sfatto
-una pasta troppo acquosa
per le maglie
dell’ecdotica.
Non riesco a leggere
le diplài, gli
asterischi
e le punte acide degli obelòi,
seminati nei margini
come rughe di una fronte
aggrottata.
Qualcosa di spurio,
forse,
si è intrufolato nei miei
gesti
-una distrazione di
copista
che biascica una pericope
di chissà chi, di chissà
quando-
entrato quasi fatalmente
nella mia tradizione
-ma c’è un originale?
Continuerò domani a
inseguire l’archetipo,
il suo profumo acquattato
lungo i rami
astratti di uno stemma.
Ora, solo, piegherò la
mano
a porre un’altra crux
-quante siano, ormai, sui
miei giorni
non guarderò
-ho un silenzio carico di
congetture
e mi basta.
Compresa in: AA. VV., Tracce 3, Roma 2015,
Pagine, p. 64.
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