Ho
trovato Giovani streghe (The Craft, USA 1996; regia di Andrew Fleming) nell’elenco di film che compare sul
sito A Study of Gothic Subculture. La nota che accompagnava il titolo non era entusiastica: la pellicola era
stata citata unicamente perché uno dei suoi personaggi principali è una ragazza
goth. Sono stata indecisa sul guardarlo o meno; ha prevalso la curiosità. Ed è
stata cosa buona: The Craft, per
quanto non abbia altro di straordinario all’infuori degli effetti speciali, si
è rivelato ricco di spunti.
La protagonista è un’adolescente
americana, Sarah (Robin Tunney). È rimasta orfana della madre, che è morta nel
partorirla; gli immotivati sensi di colpa per la cosa l’hanno anche indotta a
un precoce tentativo di suicidio. All’inizio del film, si sta trasferendo in un’altra
città, col padre e la matrigna. Niente sembra essere più suo, all’infuori della
camera dove campeggia la foto di sua madre e un anello lasciatole dalla
medesima. Le prime impressioni sono di minaccia. A scuola, conosce Chris (Skeet
Ulrich), un dongiovanni sbruffone di cui lei si invaghisce perdutamente, e tre
misteriose ragazze: la gothgirl Nancy (Fairuza Balk), Bonnie (Neve Campbell) e
Rochelle (Rachel True). Come lei, sono outsider.
Nancy vive una situazione familiare ed economica disastrosa, che non giova
di certo alle sue condizioni psichiche. Bonnie ha buona parte del corpo segnato
da bruciature. Rochelle è oggetto di insulti razzisti. Soprattutto, tutte e tre
sono streghe. Come hanno fatto gli outsider
di ogni tempo e luogo, ricercano in un culto minoritario quel potere e
quella sicurezza di sé che la società non può dar loro. La scelta di ambientare
la storia in una scuola cattolica sottolinea la loro condizione di “diversità
spirituale”. Colui che loro venerano è “Manon”, essere che sfugge alle
categorie teologiche cristiane: «Se Dio e il Diavolo giocassero a calcio, Manon
sarebbe lo stadio». La descrizione di questo essere rimanda a una concezione che
possiamo chiamare panteista. Le tre ragazze sperano che il culto di Manon e la pratica della magia
saranno il loro riscatto. Ma non possono ottenerlo, rimanendo in tre. Quattro
sono gli elementi che compongono la Natura (terra, aria, acqua, fuoco); quattro
devono essere i membri della sorellanza. Hanno bisogno di Sarah e per un legame
non certo ordinario: «Meglio cadere su questa lama che entrare nella cerchia
con paura. Come entri?» «Con perfetto amore e fiducia». La sorellanza è ferrea
come le leggi che regolano l’universo, come
in cielo così in terra. È bere l’una il sangue dell’altra.
Una volta esauditi i propri
desideri, però, il rapporto comincia a cambiare. Nancy, Bonnie e Rochelle sono
insuperbite ed esaltate dai doni ricevuti. Dopo aver sperimentato l’infelicità
e la miseria, il liquore del successo è troppo forte per loro. Solo Sarah si
rende conto della loro insania e si pone domande morali sulle proprie azioni.
Troppo pericoloso, per il membro di una sorellanza: «Se non la penso come loro,
sono fuori. Questa non è amicizia».
La radice di questa divergenza sta a
monte. Fin dall’inizio, c’era una cesura visibile fra le tre streghe e Sarah.
Le prime hanno un atteggiamento rapace verso la magia: rubano un potere che non
appartiene loro. Che male c’è? pensano.
Ogni cosa, in natura, ruba. Sì, ma
solo per sopravvivere, ricorda Sarah. Lei è l’unica del gruppo a essere una strega per natura, ad avere dentro
di sé le leggi dell’universo. Leggi che ogni tradizione spirituale conosce: Non fare agli altri ciò che non vorresti
fosse fatto a te. Ogni cosa che allontani da te ritorna a te tre volte tanto.
Non si tratta di precetti
moralistici, ma di una descrizione di cosa sia la Natura: amorevole e crudele, è una forza che segue solo se stessa. Gettare un
incantesimo significa comportarsi come Lei - e impone di accettare l’inesorabile.
«Una volta che hai scatenato un fiume in piena, come puoi fermarlo? Puoi
soltanto aspettare che le cose facciano il proprio corso». La differenza fra la
strega e gli altri esseri umani è che lei è pienamente consapevole (o dovrebbe
esserlo) di questo. Può scatenare l’irreparabile e da esso sarà travolta per
prima. È personalmente responsabile dell’ineluttabile.
E c’è un solo peccato, nella sua religione: abusare del potere concesso. Per quanto all’uomo sembri di essere
signore con il proprio craft (=
abilità, sapienza pratica), nessun potere gli appartiene. È tutto un dono della Natura.
A sopravvivere e trionfare sarà solo
chi non cercherà di dominarLa, ma di identificarsi completamente con Lei,
esprimendo la forza che ha già nel proprio interiore: realmente sua, dunque, non rubata - e che nessuno
può rubare. Nemmeno la morte.
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