M.Q.M.: Minus Quam
Merdam. È la maccheronica sigla con cui vengono apostrofate le matricole
nelle università più antiche. Va da sé che è da intendersi in senso ironico.
Quel che è meno ironico è il suo essere anticipazione di ciò che la “vita vera”
(accademica e non) ha in serbo per loro. Senza che nessuno abbia il coraggio di
dirlo in faccia agli interessati.
Benpensanti di tutto il mondo, è facile stracciarsi le vesti
davanti alle pantomime dei goliardi. Un po’ meno è guardare in volto la propria
realtà “perbene” e ammettere che è ancora peggiore di esse. L’avversione dell’ingenuo
per la goliardia è la rabbia di Calibano che non si vede riflesso in uno
specchio. Quella del perbenista è la rabbia di Calibano che si vede riflesso allo specchio.
Tanto per
cominciare, gli esami universitari. Provate a controbattere –educatamente,
sottotono finché volete- all’esaminatore che fraintende le vostre risposte. Vedrete
con quanta fraternité vi rimetterà in
riga.
Poi, il
dottorato. I. fa da mulo a professori baroni che si danno arie da divinità olimpiche,
trovando pure da ridire su dettagli di formalità (“Ma le sembra il caso di
vestirsi così?” E non è mai stata sciattona, né discinta, N.B.). Soltanto che
costoro non la chiamano “M.Q.M.”: la qualificano come “dottoressa” e le danno
del “Lei”.
Spostiamoci
sul campo lavorativo. Difficile trovare un datore di lavoro che si sbottoni, dipinga
di Nutella i dipendenti o li spinga a cantare cori da stadio. Perché finirebbe,
se non in carcere, in manicomio. Ma ciò non significa che distribuisca stipendi
gratis et amore Dei, né che sia l’amicone
di chi lavora per lui. Soprattutto in tempi di crisi come questi, quando il
mercato del lavoro pullula di stagisti e precari, che non possono avanzar
troppe pretese, perché facilmente rimpiazzabili. Circa quest'ultimo problema, domandate al professore che
si è tolto la vita per questo. O a Giovanna, laureata brillante e poco valorizzata. O ancora a Beppe, che non ha più la
pazienza di farsi prendere in giro. Storie che indignano anche per un altro motivo: la
gabbia di ossequi e “politicamente corretto” con cui vengono oliate le persone,
senza che la loro condizione di subordinati migliori nei fatti. Anzi: occhio a
non protestare, per non sentirsi dare del choosy.
Per venire
a me, scoprirmi “M.Q.M.” non è mai stato sconvolgente. Aveva un certo sapore di
déja vu. Un po’, perché ricordava le
pagliacciate dei campi-scuola. Un po’ perché avevo conosciuto qualifiche anche
più grezze. Un altro po’ perché, pur non avendo mai sfiorato una zappa, sono
pur sempre discendente di quei contadini bresciani che sanno come il pane non
caschi dalle nuvole: bisogna piegar la gobba e lasciar perdere l’orgoglio. Perché
il pane (e le occasioni) perdute per uno scatto di suscettibilità bruciano più
di tutto il resto. L’ho dovuto ben apprendere, io che non sono affatto
remissiva. ‹‹Devi imparare a tenere a freno la lingua››. Quante volte mi sarà
stato raccomandato, da genitori – insegnanti – animatori - amici? Tanto che
potrei cominciare a prenderlo sul serio. Almeno per amore di quei ceffoni e di
quei castighi che mi sono buscata da bambina. Tengo a sottolineare che non sono
cresciuta in un ambiente dispotico o formale. Sbrago quasi totale fra le mura
domestiche e astucci volanti a scuola, per intenderci. Però, all’università
come altrove, vale una regola aurea: se si batte la testa contro il muro, a
farsi male è la testa, non il muro. Troppo comodo dar la colpa all’ “eredità
del fascismo”, perché chi studia la storia e la geografia umana sa che la “regola
aurea” valeva già millenni prima ed è transculturale (una delle poche a
esserlo!).
Pare, però,
che l’ultimissima generazione non se ne sia ancora accorta. Quando parlo con
persone fresche di liceo, ho l’incancellabile impressione che non sappiano
veramente quale sia la differenza tra “mamma-e-papà” e il resto del mondo. Come
Sigmund Freud, penso che gli educatori di tutti i livelli siano colpevoli d’una Grande
Burla. Insegnano ai propri rampolli che la “civiltà occidentale” si basa su liberté, égalité e fraternité, che possono, tutt’al più, essere un obiettivo. Di certo,
non sono una realtà in atto. Ne abbiamo parlato anche ne Il Paese dei Balocchi. Sorvoliamo sul sangue che è stato versato in nome di quelle liberté-égalité-fraternité, dato che ha
già raggiunto anche i tavolini dei bar. La Marsigliese, a riprovarlo, è il canto più feroce
che io conosca. E viene strombazzato con orgoglio da bravissimi ed evolutissimi
cittadini.
In
conclusione: quando vi apprestate ad apostrofare un goliarda che scrive “M.Q.M.”
in fronte a qualcuno, tornate a guardare la vostra “perfettissima” civiltà e
domandatevi quante volte abbiate accettato (o collaborato) a render qualcuno Minus Quam Merdam. Anzi, se non abbiate
accettato d’esserlo voi stessi. Se
siete onesti, la vostra voglia di lanciare la prima pietra diminuirà
esponenzialmente. Se sarete ancora convinti che valga la pena di toglier la
pagliuzza dall’occhio altrui, provvedete prima a levare la trave che sta in
tutto il “mondo civile”. Ma temo che sia un gioco troppo duro per voi.
cara Erica, il punto chiave del tuo scritto è in questa frase : "Quando parlo con persone fresche di liceo, ho l’incancellabile impressione che non sappiano veramente quale sia la differenza tra “mamma-e-papà” e il resto del mondo." In questa frase c'è un errore di valutazione, un errore storico e sociologico, sai dov'è? nelle parole "persone fresche di liceo". Se guardi indietro negli ultimi 25 anni ti accorgi che il legame di tipo familiare è il tratto fondamentale della cultura sociale italiana, a qualunque età, non solo intorno ai vent'anni. Spesso è stato lodato anche dai politici (famiglia come riferimento di solidarietà, come base della società)senza che se ne vedessero i pericoli latenti. Il primo è il ritardo nel confrontarsi col mondo (la famiglia di origine serve da rifugio di sicurezza impedendo una maggiore aggressività ed anche una "coscienza sindacale": signori! ho bisogno di uno stipendio base, non di una paghetta per comprarmi la moto!). Il secondo, molto peggiore, è nella tendenza a "clonare" tale modello cercando in ogni situazione (scuola, professione, vita sociale) un qualche "padre adottivo", un "protettore". Ovvio che tale "scalata" abbia dei costi: ci si deve sottomettere per acquisire credito presso il "padrino" che si corteggia. Ecco che il MinusQuamM. è il punto di accesso obbligato in ogni situazione, l'umiliazione iniziatica di una sorta di onnipresente Accademia tipo FullMetalJacket (o Ufficiale e Gentiluomo, è lo stesso!). Ti sembro troppo severo? forse sto insinuando che il "sistema mafia" sia una specie di malattia epidemica dalle nostre parti. D'altra parte posso dire di averlo visto coi miei occhi in molti campi. Non so da dove si possa ripartire per cambiare le cose. Però credo che una forte critica del tradizionalismo e dei legami familiari siano i presupposti MINIMI.
RispondiEliminaLeonardo Asso
Leonardo, ma perché diamine hai scelto il profilo "Anonimo"? C'è anche quello "Nome/URL", che si può usare senza inserire l'URL...
EliminaIl mio discordo è di tipo più psicologico che sociologico. Non sono cambiate tanto le strutture sociali, quanto i luoghi comuni di cui i ragazzi si nutrono. In una società baronale come quella che descrivi, sono capacissimi di credere ciecamente che li aspettano "liberté, égalité, fraternité" e una lunga vita di soddisfazioni senza inciampi. Sul serio. Non sai che sforzi devo fare per non sbottare a ridere, quando qualcuno salta fuori con candori simili... E rimproverano pure chi li riporta alla realtà, come se la colpa fosse sua! No comment. Poi, volerlo cambiare o meno... è un altro discorso. Per cambiar qualcosa, ci vuole un interesse a farlo e gli interessi sono discordanti. Io penso che il problema sia quello che Freud delinea ne "Il disagio della civiltà": l'uomo ha rinunciato a parte della propria libertà per aver più sicurezza. Per poter vivere coi propri simili, ha sacrificato parte delle proprie pulsioni: da qui, la frustrazione connessa con la civiltà. Il problema è che, a livello di luoghi comuni, si identifica con la civiltà la soddisfazione idilliaca, l'esser portati in palma di mano. Assolutamente falso. E utopico nel senso più sterile del termine. (Lasciando stare il fatto che le "utopie" sono totalitarie per vocazione: ma ciò ci porta fuori dal seminato).
Poi, quando dici che non c'è NESSUNA differenza tra i rapporti familiari e quelli accademici/lavorativi... secondo me, esageri. Dubito che il "capo" ti tratti come un eterno bambino da coccolare e proteggere, come fanno spesso i genitori. Quando si va al lavoro, il "capo" ti chiama forse "piccolone/patatino" o simili? Ti chiede se hai mangiato bene/se ti è piaciuto il regalo di Natale/se sei troppo stanco? Se ne conosci uno così, presentamelo, ti prego... xD
Eliminanon è il "padrone" che si comporta come un "padre": è il padre che DA SEMPRE è l'archetipo del padrone! tu parli di coccole e protezione e sembra sfuggirti l'universo ricattatorio che c'è dietro queste cose quando diventano "costume sociale" andando oltre quello che è il sacrosanto affetto sincero e individuale! le persone si piegano alla tirannide per un meccanismo masochistico e perché pensano di maturare dei "meriti"; poi, a loro volta, la faranno scontare ai "fratelli più piccoli".
RispondiEliminaLeonardo Asso
Leonardo, mi pare che i tuoi discorsi si facciano troppo generici e astratti, oltre a uscire da ciò che stiamo trattando. Accusare di "ricatto" i miei genitori, tanto per cominciare, sarebbe ingiusto verso di loro. Quanto ai genitori altrui, non conosci i loro sentimenti e non li puoi giudicare. Di sicuro, incontrando i loro figli, tutto è evidente tranne il carattere "padronale" del rapporto. Se così fosse, i ragazzi sarebbero più propensi a riconoscere i ruoli e le autorità. Cosa che, come ho riscontrato, non avviene. Anzi: tanti di loro hanno quella sottile alterigia di chi pensa d'aver molti diritti e nessun dovere e che chi sta "più in alto" esista, sostanzialmente, per facilitare la vita a loro. Lo dico da ex-babysitter/animatrice di gruppi estivi e collegiale anziana. Nonché da amica e conoscente d'insegnanti e da ex-scolara. I ragazzi più giovani hanno qualunque problema, tranne quello d'aver "padroni". Lasciamo stare l'assoluta mancanza di polso in questioni basilari che mi è capitato spesso di notare in rami collaterali della mia famiglia... Non basta leggere articoli di sociologia. Bisogna anche osservare la gente. E, purtroppo, le mie osservazioni sul campo divergono pesantemente dalle tue. ;)
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