Qualche minuto a letto, col quaderno ad anelli e la stilografica, intanto che si sedimentano i pensieri –e i due panini demoliti in un attacco di fame ormonale. Sono grata a F., che mi ha regalato questa serata al Teatro Fraschini di Pavia. L'Italiana in Algeri: “dramma giocoso in due atti, di Giocchino Rossini, su libretto di Angelo Anelli” (1813). Il 15 novembre
F. aveva
deciso di vender cara la pelle per la postazione più comoda in loggione. Perciò,
siamo arrivati al Fraschini con mezz’ora d’anticipo. Lungo le scale, lui si è
lanciato in una corsa matta e disperatissima. E io dietro, a cercar di
riguadagnarlo. Era destino che il pubblico dovesse ridere, ancor prima che
iniziasse lo spettacolo.
Mustafà
(Abramo Rosalen, basso) è il bey di Algeri. Galletto del serraglio, si
considera un domatore di belle. Invece, è lui ad aver troppa propensione per le
grazie femminili. Ne approfitterà la livornese Isabella (Carmen Topciu,
contralto), che otterrà la libertà per sé, per l’amato e per gli altri schiavi
italiani. Una sorta di musical ante
litteram, all’insegna dell’ “Italiani VS ‘Turchi’ ” (ma non erano
algerini?). Anzi, del “Maschi contro femmine”. Il rifermento al moderno cinema
commerciale non è troppo dissacrante, vista la trama. Al pubblico ottocentesco
piaceva il trash roboante, in cui i
nostri dirimpettai mediterranei erano tutti harem, pirateria e impalamento. Così,
ben vengano le Mille-e-una-notte à la
page, con danzatrici del ventre nient’affatto spregevoli. E una dama di
mondo italiana, che è bella e fa fare agli uomini ciò che vuole. Perché sa che,
in fondo, “tutti la bramano, tutti la chiedono… da vaga femmina felicità”. Sia concesso lusingarsi un po’,
quando il corsaro Haly (Davide Luciano, basso) canta: “Le femmine d’Italia/son
disinvolte e scaltre/ e sanno più dell’altre/l’arte di farsi amar.” Il concetto
era sottolineato da una galleria di nudi femminili, dipinti con vena
raffaellesca. Di questi tempi, in effetti, non ci possiamo gloriar di molto,
oltre al patrimonio artistico. Quanto alla sapienza seduttiva, sorvolerei, dato
il mio curriculum in “due di picche” ricevuti. Però, ammetto che Rossini e
Anelli hanno trovato un modo molto gustoso d’esaltar l’italianità. Tanto che il
regista ha voluto una pizza, sulla mensa a cui Mustafà deve “pappare e tacere”.
Accarezzo
la spalla di F. Chissà cosa pensa di me
come “Italiana in Algeri”. Poco importa. Mi concentro sulla scena. Lì, i nostri
connazionali fan bella figura. Fuori dal teatro, incroceremo le dita. Mi piace
pensare che, nella baldanza di Isabella, ci sia un po’ di quell’allegro marziale dell’Inno di Mameli. Di
quell’incoscienza creativa che tiriamo fuori in alto mare (e che vada un po’
oltre Beppe Grillo o il revival anni ’20-’40,
speriamo!). “Quanto vaglian gl’Italiani al cimento si vedrà.”
Fotografie di Pierino Sacchi.
Fotografie di Pierino Sacchi.
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