È duro tener fede al proprio interesse per una tematica.
Soprattutto se coloro che lo condividono con noi hanno la spada tratta e non
concepiscono sfumature oltre al bianco e al nero. Di qua gli uni, di là gli
altri: una scacchiera, praticamente. Nessuna possibilità di ridiscutere sui
dettagli. Perché qualunque pennellata aggiuntiva è “sicuramente” un attacco di
parte. O personale.
E. è una
giovane laureata appassionata di blog e social network. Ama informarsi su
questioni di genere e sessualità. È favorevole ai matrimoni gay e contraria
agli stereotipi di genere. Così come avversa la droga mediatica che
strumentalizza problemi delicatissimi (omofobia, femminicidio) per muovere voti
da una parte o dall’altra.
Su
Facebook, legge uno status pubblicato dalla pagina di un noto blog
anti-sessista: “Chiunque neghi l’esistenza di discriminazioni di genere,
omofobia, pedofilia è in malafede ed è complice di queste piaghe.” E. ne
approva apertamente la sostanza. Soltanto, aggiunge una postilla: “Bisogna
anche non confondere il negazionismo con l’operato di chi vuol discutere di certe
tematiche senza sollevare una psicosi o di chi difende dalle diffamazioni.” Una
precisazione limpida, nata dalla sofferta osservazione di come gli
interlocutori amino insultarsi e “sloganeggiare”, più spesso che approfondire.
Non c’erano dita puntate, né minimizzazioni. Soltanto una risposta generale a
un’affermazione generale.
La
reazione, in ogni caso, è la seguente: “Psicosi? Diffamazione? E., si vede che
non leggi i commenti di misogini, omofobi e altri sul nostro blog. Per favore,
non si parli di ciò che non si conosce.”
E. conosce
benissimo quel sito e svariati altri di taglio simile. Legge post e interventi,
talora commentando a propria volta. Sa perfettamente come si comportino i
misogini – omofobi - eccetera. Per esempio, quello che, sul blog Liberi tutti di Delia Vaccarello,
scriveva: “Quasi quasi, mi tolgo le fette di prosciutto dagli occhi e mi
iscrivo al partito olandese dei pedofili.” Oppure, quello che cincischiava su
un gruppo Facebook anti-stereotipi, infilando insulti a caso contro ipotetiche
verginelle ipocrite.
Va da sé
che chi ha risposto a E. non si è preoccupato di verificare queste sue
esperienze: il che sarebbe stato fattibile con una visitina ai suoi profili
online, che sono svariati. Ha ribattuto con un rancore dato dal preconcetto che
il commento fosse un attacco personale. Del resto, si sa: un intervento è
“inopportuno” quando sembra non compiacere immediatamente l’interlocutore
principale. Infatti, proprio così ha proseguito il portavoce del blog:
chiamando “inopportuna” la legittima osservazione di E. e affrettandosi a dire
che “noi non abbiamo mai avuto atteggiamenti diffamatori, forcaioli o simili.”
Vien voglia di chiosare: Excusatio non
petita, accusatio manifesta. Ma, probabilmente, il problema è un altro: i
megafoni (ancorché metaforici) non sono adatti al dialogo. Come E. voleva
ricordare.
Ottimo!
RispondiEliminaGrazie! :)
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