Di
S. Rocco, esiste una biografia conosciuta come “Acta breviora”, composta in
Lombardia verso il 1430. Da essa, è tratta la vulgata che vuole il santo come
originario di Montpellier. Di famiglia benestante, una volta orfano avrebbe
venduto tutti i propri beni e si sarebbe diretto verso Roma come pellegrino.
Lungo il cammino, si sarebbe posto a servizio degli appestati, contraendo il
contagio egli stesso. L’unica creatura che gli avrebbe recato qualche conforto
sarebbe stato un cane, col quale è costantemente raffigurato. Giunto sulle rive
del Lago Maggiore, S. Rocco sarebbe stato scambiato per una spia e sarebbe
morto in carcere. Nonostante il suo culto sia popolarissimo sia in Francia, sia
in Nord Italia, non si hanno
informazioni sicure su di lui dal punto di vista storico. Unica ipotesi
accettabile, circa la collocazione temporale, è quella che lo vuole vissuto nella
seconda metà del XIV secolo. La biografia citata, dunque, sarebbe stata
composta quasi cent’anni dopo la sua nascita. È probabile che S. Rocco, più che
un personaggio storico, sia un archetipo: l’immagine di un’esperienza
universale, in questo caso quella del “santo pellegrino”. Essa rovescia
l’usuale figura del forestiero come portatore di malattie e pericoli: un
pregiudizio diffuso in Europa durante le epidemie di peste, in cui gli
stranieri erano facilmente additati come diffusori del contagio. Il culto di S.
Rocco avrebbe esorcizzato sia la paura degli “untori” che quella del morbo.
A Manerbio, gli è stata dedicata una
chiesa, eretta probabilmente a partire dal 1513, secondo lo storico Mons. Paolo
Guerrini. La data segue un periodo - per l’appunto - di pestilenze, determinato
dall’invasione francese di Carlo VIII e di Luigi XII. La collocazione del
santuario è periferica: probabilmente, era il sito del lazzaretto e del
cimitero degli appestati.
Nonostante l’emozione per questo
culto sia in calo, la sagra di S. Rocco rimane un appuntamento fisso per i
manerbiesi. Nel 2016, le celebrazioni sono durate dal 14 al 16 agosto, data
vera e propria della ricorrenza. I festeggiamenti profani sono stati preceduti
dalla preghiera del Rosario e da due Messe; quella solenne si è tenuta la sera
del 16. La piccola fiera era stata organizzata da volontari della diaconia.
Essa ha compreso luminarie, una pesca, una bancarella di dolci e una di
giocattoli. I manerbiesi hanno danzato al suono di due orchestrine: quella di
Cesare (il 15 agosto) e quella della sua famiglia al completo, la “Janita
Music” (16 agosto). I ritmi proposti erano quelli sempreverdi del liscio, del
latinoamericano, degli anni ’60-’70-’80. Erano compresi arrangiamenti ballabili
di Lucio Battisti, di Adriano Celentano, dei Nomadi. Un occhiolino è stato
strizzato anche a tormentoni recentissimi, come “Sofia” di Álvaro Soler (2015).
La peste (si spera) riposa in pace,
ma non la voglia di stare insieme al chiaro di luna, “come ai vecchi tempi”, in
cui un’orchestrina di liscio faceva battere il cuore più dei ritmi techno.
Paese Mio Manerbio, N. 112,
settembre 2016, p. 6.
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