“La
società greca non ha mai posseduto forti apparati coercitivi di tipo politico,
come lo Stato e la magistratura, né tanto meno apparati di condizionamento
ideologico ed educativo, come la scuola di stato o una Chiesa unificata. Neppure
esistono testi dotati di valore normativo universale, come un corpo legislativo
unificato, o un Libro sacro, una Scrittura impositiva perché rivelata. Tutto
ciò vale anche in larga misura, se pure in forme diverse, per la società
romana, ad eccezione forse di quella tardo-imperiale. Lo Stato non interviene
se non sporadicamente e con scarsa efficacia nelle questioni di
regolamentazione morale (si possono citare ad esempio le leggi sulla famiglia,
sulla condotta sessuale, o quelle contro il lusso); soprattutto, esso non
dispone né dell’autorità, né degli strumenti di condizionamento educativo, che
gli consentano di imporre le norme di condotta necessarie sia alla vita
associata sia all’omogeneità morale dei suoi membri.
A questa carenza devono assiduamente
supplire agenti morali diversi e in qualche modo spontanei, come le dinamiche
di autoformazione del corpo sociale, le correnti del pensiero religioso, i
messaggi sapienziali, più tardi il lavoro delle scuole filosofiche, l’opera dei
moralisti e dei ‘direttori di coscienza’. Scopo comune, anche se perseguito con
strategie diverse e spesso rivali, è quello di ottenere l’introiezione di
valori e norme morali capaci di orientare la condotta, di cementare l’assenso
verso le regole della vita sociale e le sue autorità, di ottenere insomma
mediante la persuasione, la formazione, la teoria, ciò che non può venire
imposto in modo coercitivo. Tutto questo ha però naturalmente esiti che non si
esauriscono semplicemente nella supplenza di un potere statale e ideologico
assente o troppo debole.
La spontaneità sociale e culturale
dei processi di formazione e di soggettivazione morale dell’uomo antico lascia
aperti spazi di incertezza, di conflittualità, dunque anche di scelta e di
libertà ignoti in altri sistemi sociali. La morale e l’etica antica hanno un
ruolo centrale, una diffusione pervasiva nel governo della vita e dell’integrazione
sociale perché surrogano l’assenza di regole coercitive. Ma proprio per questo
la loro influenza è problematica, aperta, ‘leggera’; proprio per questo l’interrogazione
e la discussione sono più ricche, più argomentativamente articolate, più
esposte al dissenso in quanto prive di protezione autoritaria o dogmatica. Più
che in ogni altra epoca, l’uomo antico ha avuto bisogno di una morale e di un’etica
per guidare la sua vita individuale e sociale; ma non ha mai conosciuto l’imposizione
di una morale compulsiva, di un’etica ‘ufficiale’, restando così esposto all’incertezza
della scelta. Spesso egli si è pensato nella situazione di chi si trovi di
fronte a un bivio, fra virtù e vizio, o fra morali contrapposte, e sia chiamato
a scegliere; quasi mai ha pensato, comunque, che questa libertà di scelta fosse
un male.”
MARIO VEGETTI
Da:
L’etica degli antichi, Roma-Bari
2007, Laterza, 11^ edizione, pp. 4-6.
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