Parte III: Colloqui
9.
Amedeo
si rilassò sulla poltroncina, gustando – a palpebre socchiuse – la luce che
filtrava attraverso le tendine della biblioteca. Si sentiva come risvegliato da
un incubo – il più lungo e il più terribile di quelli che lo avevano visitato
periodicamente, in quei sei anni.
«Ormai, mi piace da morire, questo
posto…» mormorò voluttuosamente a Nilde, che stava riordinando alcuni volumi.
«Che
peccato!» sospirò lei. «Non sono sicurissima che diventerà casa nostra.
Naturalmente, mio zio mi ha lasciato erede anche di questa… ma dovranno
trascorrere almeno dieci anni, prima che io possa entrarne in possesso davvero…
date le circostanze della scomparsa.
Anche allora, non so se mi converrà mantenere la residenza in questo
appartamento, o venderlo. Non i libri, eh… quelli me li terrebbe volentieri la
Serra. Ha due case… un po’ di spazio lo troverà, vorrei dire…»
«E dove andresti a vivere, scusa?»
ribatté lui, accigliandosi d’improvviso.
«Fra
le ultime volontà di mio zio…» spiegò lei, sommessa «c’era anche che la mia
maestra di spada si occupasse di me, fino a che non avessi raggiunto
l’indipendenza economica. Potrei semplificarmi l’esistenza andando a stare con
lei, come ho fatto in questi anni… magari, proprio in quella casa sui colli
dell’Oltrepò. Sai che lei ha un’azienda vitivinicola? Ma lasciamo stare…»
Amedeo si morse un labbro.
Nonostante il suo buonsenso, non si appassionava mai troppo a quei calcoli
spiccioli sui mezzi di sostentamento. Non davanti alle labbra delicate di Nilde
e alle sue anche feline.
«Che progetti avresti per la tua
vita professionale, esattamente?»
La
ragazza fece spallucce. «Fino a poco prima del famoso duello… accarezzavo
l’idea del dottorato». Guardò la Minerva in gesso e sospirò. «Ma non so se
desidero realmente galoppare agli ordini di un barone… o campare di borse
offerte dalle università…»
«Qualcosa dovrà pur fare Sua
Altezza!» la punzecchiò lui. «Anzi, sai che ti dico? Potresti informare la tua
maestra che, da oggi, sei ufficialmente richiesta in sposa».
«Eh?»
Amedeo
le gettò uno sguardo. Poi, scoppiò in una cascata di risate. Nilde, a occhi
strabuzzati, era proprio comica.
«Visto che lei, teoricamente,
dovrebbe vegliare sul tuo mantenimento… domandale di aiutarti a trovare un
impiego – o di assegnarti una dote, se proprio vuoi far la principessa fino in
fondo…» Il giovane completò con una linguaccia. «Non so cosa ne pensi tu, ma…
io sono stufo di far nascere solo i bambini degli
altri».
Stavolta, fu Nilde a ridere. Si
gettò fra le braccia di Amedeo. La Minerva rimaneva obliata alle sue spalle.
Fine
Pubblicato sul quotidiano on line Uqbar Love (8 settembre 2016).
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