Questa
sarà - io spero - la prima e l’ultima volta che questo blog farà pubblicità a
quel Vernacoliere d’Oltralpe assurto agli onori della cronaca e del martirio
non certo per i propri meriti intellettuali. La vignetta qui rappresentata - e
già replicata ad nauseam - presenta
le disgrazie del terremoto in Centro Italia come specialità del Bel Paese, con
un accostamento che provocherebbe la suddetta nauseam anche senza ripetizione. A questo punto, spezzo una lancia
a favore del contenuto in sé: che simili tragedie siano tipicamente italiane è
vero, non c’è niente da fare. Non tanto perché la nostra penisola è piena di
zone sismiche (caratteristica non solo sua, nel mondo), quanto perché l’edilizia
nostrana è sistematicamente impreparata. Ogni terremoto scoperchia questioni
etiche: è stata usata o no tutta la tecnologia disponibile? Ci sono stati
indebiti risparmi sul materiale, nell’erigere o risistemare gli edifici? C’era
corruzione negli appalti? Domande brucianti, sulle quali i francesi - come
tutti i cugini o i vicini di casa - non perdonano.
Grazie del pensiero, cugini
francesi, ma anche noi - nel fondo della nostra miseria - abbiamo libera stampa
che si pone la questione, e di tutt'altra qualità. Occupatevi pure del vostro civilissimo Paese, dove alcune donne vengono
multate perché troppo vestite in spiaggia. Alla faccia dell’Io sono mia…
Mentre una persona sostanzialmente
inoffensiva viene costretta a spogliarsi per non offendere (non sia mai!) Sua
Divinità il Secolarismo, quaggiù c’è qualcuno che si sbraccia per difendere la “sacrosanta
libertà”. E vale la pena di spendere qualche parola sulla questione, perché
assai più generale di quel che concerne una vignetta destinata a pattumiera e
riciclo.
Da futura giornalista e da avviata
all’anarchismo, concordo sul fatto che nessuna autorità pubblica o potere
personale dovrebbe permettersi di mettere il veto sulla stampa. Fare questo
significherebbe togliere ai mezzi d’informazione la loro preziosa capacità di
far riflettere o di far circolare conoscenze di comune utilità, a favore di chi
vuol mantenere una poltrona o una fonte di guadagno. Considerazioni che pertengono
all’ambito dell’acqua calda, perciò non ci soffermeremo. Non voglio nemmeno
entrare nel merito della libertà di satira. Chi legge le vignette di
Makkiavelli o le “rubriche” di Dentella D’Erpici su questo blog, d’altronde, sa
che non disdegno di ricorrervi.
Quello che non deve venir meno in
seno alla società è un altro genere di
regolazione. Quello che non viene amministrato nei tribunali o imposto
dalle forze dell’ordine. Quello che non si avvale del denaro o della pistola.
Mi riferisco a ciò che Platone chiamava σωφρoσύνη,
la “moderazione”: ovvero, la capacità di autocensura (cfr. Repubblica IV, 430 e). È una legge non depositata in archivi, né
fissata una volta per tutte, ma creata costantemente negli esseri umani lungo
il corso della loro vita. Nasce dall’interagire con gli altri, dallo scoprire
che hanno reazioni di dolore o di disgusto a causa delle nostre azioni:
reazioni da evitare tanto quanto cerchiamo di evitarle a noi stessi, per il
beneficio di mantenere una vita vivibile. In questo senso, può essere letta la
sempiterna regola Ama il prossimo tuo
come te stesso, deprivata di ogni crosta dolciastra. Di questa facoltà, l’anarchico
ha bisogno più d’ogni altro tipo d’uomo, perché non ha mani paterne o
autoritarie che lo trattengano dalle conseguenze dei propri atti. L’anarchico
ideale è l’unico padrone di se stesso, così
come l’avrebbe voluto Platone.
Un essere umano capace di σωφρoσύνη
- ovvero, umano in senso proprio - si rende conto che, per far ridere, bisogna
domandarsi se anche il pubblico troverà
tanto spiritosa la sua espressione. Per dirlo manzonianamente: le parole fanno
un effetto nella bocca e un altro negli orecchi.
Una
satira conforme alla σωφρoσύνη stimola il cervello e lascia stare le altre
parti del corpo. Se così non è, non merita la pubblicazione - anche in assenza
di un’autorità censurante o di ritorsioni. Gli escrementi e il vomito vanno
bensì espulsi, per il bene della nostra salute; ma non sarebbe una buona idea
servirli a tavola. Cosa che vale per il corpo come per l’intelletto. Buon
appetito!
P.S.
Portare pure Charlie Hebdo come
esempio di cultura post-illuministica, sempre che non temiate di sentire
Voltaire rivoltarsi nella tomba. Ma uno spirito come il suo - in altri contesti
- sarebbe tacciato di razzismo e volgarità proprio dall’intellighenzia “progressista”
che lo difende.
Siamo
tutti spiritosi, sulla pelle degli altri.
Ottime o dovute considerazioni tranne che laddove si affibiano tutte le colpe al sistema Italia. Faccio una semplice domanda: "Lei come persona di cultura sarebbe capace di approvare un piano di abbattimento dell'80% delle abitazioni antiche o vecchie nei nostri villaggi o cittadine delle zone sismiche?".
RispondiEliminaIo penso di no perché siamo tutti a culturali o ecologisti sulla pelle degli altri o meglio teniamo di più ai nostri sentimentalismi che alla vita umana.
Ulteriore domanda: "A chi è rivolta la Sua domanda?" Cose del genere andrebbero chieste - al massimo - a chi è laureato in Ingegneria. Chi è laureato in Lettere, come me, si occupa di altre questioni, come la nozione di "libertà" - cosa, peraltro, non secondaria, nel vivere civile. Tantopiù che nessuno "affibbia colpe". Semmai, uso le naturali funzioni della mia mente per rilevare dati che stanno sotto il naso di tutti. Riconoscere la (piccola) parte di ragione presente in quella vignetta è un doveroso atto di onestà intellettuale. Lei parla di sicurezza: i recenti lavori antisismici alla scuola di Amatrice cos'erano? E la Casa dello Studente all'Aquila era forse vetusta? Anche quella, "ristrutturata di recente".
EliminaPer quanto riguarda il Suo grandioso piano: perché non lo elabora Lei, che è così sentenzioso? Di piano sensato, comunque, ce n'è uno solo ed è sempre quello: prevenzione e manutenzione. Giusto oggi, sul "Corriere della Sera", un'intervista al capo della Protezione Civile sottolineava questo problema di cultura: molte case, in aree sismiche, non vengono sottoposte a controlli dai proprietari, perché temono che l'edificio perda valore o di doverlo ristrutturare. Come se una casa crollasse di meno, solo perché non si è al corrente delle sue falle strutturali. Fare ciascuno la propria parte: questo, sì, sarebbe un bel piano. E - notare! - non sarebbe nemmeno così sentimentale. Le abitazioni, del resto, sono proprietà private, quindi un piano globale di abbattimento e ricostruzione (per ora) è ai limiti del lecito. Quanto a me, sacrificherei volentieri un pittoresco rudere alla sicurezza della pellaccia. (Tantopiù che io non ho alcuna seconda casa per le vacanze, ergo dei bei paeselli non mi potrebbe importar di meno, a livello estetico). Mi spiacerebbe, ma mi dispiacerebbe assai più contare i morti. Cordiali saluti.