Dagli
schermi televisivi, vanno di moda i richiami al “nuovo”, all’ “Italia che dice
sì”. Ma “sì” a cosa? La prof.ssa Rosaria Tarantino e la CGIL - Camera del
Lavoro di Brescia hanno cercato di rispondere con due incontri nell’Aula Magna
dell’I.I.S. “B. Pascal” di Manerbio.
Il primo incontro ha avuto luogo il
22 aprile 2016, col titolo: “I mutamenti dell’assetto costituzionale italiano:
cambiare per andare dove?” Il tema erano quelle variazioni al testo della
Costituzione che verranno sottoposte al referendum di ottobre. Ne ha parlato il
prof. Antonio D’Andrea, docente di Diritto costituzionale all’Università degli
studi di Brescia.
Non è la prima volta che l’Italia va
incontro a una riforma della Costituzione (ne hanno avuto luogo una nel 2001 e
una ne 2006). In questo caso, però, al suo successo è legato anche l’esito
della carriera politica del primo ministro in carica. La novità consisterebbe
proprio in questo personalismo.
Come gli altri interventi sulla
carta costituzionale, la riforma Renzi-Boschi toccherebbe solo la seconda parte
(istituzioni dello Stato), senza intervenire sulla prima (principii
fondamentali). Ma - ha ricordato il prof. D’Andrea - esse sono intimamente
collegate.
Se entrasse in vigore la riforma
Renzi-Boschi, il Senato (che rappresenta gli interessi delle Regioni) passerebbe
da 315 membri a 100; la carica di senatore a vita diverrebbe temporanea (sette
anni); i senatori non sarebbero più eletti, ma scelti da ciascun Consiglio
regionale all’interno dei propri membri. Il Senato verrebbe poi privato della
facoltà di autorizzare la sottoposizione dei ministri alla giurisdizione
ordinaria (art. 96 Cost.).
La proposta di riforma Renzi-Boschi
è piuttosto popolare, perché prevede una diminuzione nel numero dei
parlamentari e della relativa spesa pubblica. Ma - ha sottolineato D’Andrea -
svuoterebbe il Senato di potere, in nome dell’efficientismo e degli “interessi
nazionali”. In altre parole, la Renzi-Boschi (secondo D’Andrea) sarebbe
ispirata alle profonde pulsioni autoritarie ancora presenti nella politica
italiana, in un Paese la cui democrazia è giovane.
Il secondo incontro riguardava “Il
lavoro come dignità e libertà nella storia del diritto: dallo Statuto dei
Lavoratori alla Carta dei Diritti” (5 maggio 2016). La relatrice era Elena
Lattuada, segretaria generale della CGIL Lombardia. La Carta dei Diritti è una
proposta di legge d’iniziativa popolare. Essa sarebbe principalmente una
reazione agli interventi legislativi recenti, dalla riforma Fornero al Jobs
Act. Questi sono accomunati dalla considerazione del lavoratore come in
condizione paritaria rispetto all’impresa. Tutto il contrario rispetto allo
spirito dello Statuto dei Lavoratori, promulgato nel 1970 sulla base di
un’osservazione: il lavoratore si trova in svantaggio rispetto all’impresa, che
può privarlo del mezzo di mantenimento o imporgli condizioni insostenibili. La
Lattuada ha dipinto l’attuale difficoltà di creare un fronte comune dei
lavoratori, per via delle innumerevoli differenze nelle tipologie di contratto.
Non esisterebbe dunque un precariato, ma tanti precariati diversi. La paura di
perdere il lavoro porta alla rinuncia a vari diritti: il riposo (soprattutto
nel campo della sanità), la maternità, la malattia, la partecipazione alle
decisioni aziendali, la retribuzione sicura. La Carta dei Diritti - secondo la
Lattuada - vuole essere un’azione collettiva volta a garantire un pacchetto di
diritti universali ai lavoratori, dipendenti o autonomi che siano.
Pubblicato su Paese Mio
Manerbio, N. 108 (maggio 2016), p. 7.
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