Parte I: Fili pendenti
10.
Nilde
si compose sulla poltroncina in velluto e fissò in volto lo zio. La Minerva di
gesso, nella penombra, sembrava più vigile – più viva.
«Come sicuramente ricorderai,
tornare a vivere con me e a seguire i tuoi studi era soltanto la prima parte
del nostro patto» esordì Michele Ario. «La seconda prevedeva che tu imparassi a
usare realmente la katana che ti avevo regalato».
La
ragazza annuì. La scena nella chiesa di S. Michele Maggiore era nitidissima
nella sua memoria. Quel duello mancato, che avrebbe dovuto concludere la guerra
fra lei e l’unico familiare che le fosse rimasto. La navata deserta, per la
complicità del parroco, che voleva aiutare l’amica del nipote prigioniero. La
scoperta di non essere ancora cresciuta abbastanza per chiudere il conto.
«Dunque,
ti presento la tua maestra: la signorina Irene Serra».
Nilde rivolse l’attenzione a quella
figura sconosciuta, seduta di fronte a lei al tavolo della biblioteca. Una
miniatura di porcellana, con occhi neri e affusolati, mani piccole e una folta
capigliatura corvina. Vi era, nella figura di Irene Serra, una cortesia
adamantina, che non cedeva alcunché alla mollezza. Aveva la leggerezza dei
fiori di ciliegio e il loro stesso candore glaciale. L’allieva ricevette la sua
ferma stretta di mano.
«Per tutto il periodo della tua
istruzione, risiederai a casa sua e farai quello che lei ti dirà» scandì Ario.
«Ci rivedremo quando sarai pronta».
[Fine prima
parte]
Pubblicato su Uqbar Love, N. 181 (28 aprile 2016), p. 17.
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