Lo
chiamano “moschea”, ma è - di fatto - una sala polifunzionale, per le esigenze
della comunità musulmana locale. Quando non è impiegata per la preghiera
collettiva, i tappeti vengono arrotolati e lasciati da parte. Stamattina, sono
comparsi cinque banchi. Servono agli allievi del corso di arabo per italiani.
La classe, quando è al completo, non supera i cinque elementi. Quasi tutti
donne. Oggi, sono in tre: una quarantacinquenne, una sulla trentina e una che
dovrebbe aver superato i cinquanta.
La maestra è una ragazza tunisina,
naturalmente a capo velato. L’esercizio - fra i mugugni quasi generali - è di
lettura. La storiella di una piccola tartaruga (è un po’ presto per essere
iniziate all’alta letteratura araba).
La quarantacinquenne, enfant terrible della classe, cerca ogni
modo per alleggerire la lezione a suon di risate. «Cosa vuol dire questooooo?»
«È il verbo “amare”» spiega la maestra (santa…). E, per chiarire meglio,
comincia a far qualche esempio di coniugazione: « “Lei ama”, “io ti amo”…»
«Ma comeeee???!!» scoppia a ridere
l’allieva. «Guarda che io sono ancora eterooo!!! Vi prego, ormai va di moda…
non ditemi che ce ne sono anche qui…»
«E se anche fosse?» interviene la
trentenne. La sua compagna di banco le è, per il solito, molto simpatica,
proprio per la sua schiettezza. Però, stavolta, l’ha fatta fuori dal vasino.
«Eeh? Non mi dire che sei lesbica?!»
«Sono
tutte e due le cose… problemi?»
La carica della quarantacinquenne,
ormai, è inarrestabile: «Oddio… oddio… una bisessuale
pure al corso di arabo… »
«Eh,
sì… esistiamo, sai com’è…» Se l’altra
conoscesse meglio la ragazza, saprebbe che questa calma è il segnale per
scendere nel rifugio antiaereo.
«Ehi,
ehi… Non provarci con me!»
«Non
c’è pericolo.»
«Grazie,
neh!!»
«Ti
vedo solo come un’amica» ribatte la trentenne, pericolosamente serafica.
«Ma
non puoi dirmi queste coseee!! Io mi sono fatta le ore di pullman per andare a
Roma, al Family Day… e tu sei così?
Guarda, fuori di qui!!»
L’ultima frase è stata detta con
ironia, va da sé. Ma la trentenne, comunque, risponde a dovere: «Io ho il
diritto di stare dove mi pare e piace, esattamente come te.» Si rende conto di
parlare come il Venerabile Estiqaatsi. Però, vivere in una provincia italiana
significa anche questo: dover ribadire l’ovvio.
«Ma, insomma, io sono contraria a
tutte queste cose che stanno uscendo… ho scritto lettere pubbliche contro il gender… Pure tu, che hai studiato
lettere antiche, sai che l’uomo è stato creato maschio e femmina… pure tu sei
nata da un uomo e da una donna…»
Proprio perché laureata in lettere
antiche, la trentenne sa che - se è per questo - un sublime canto orfico
afferma che l’universo fu creato da un
uovo gigante, casomai si volesse prendere per oro colato ogni venerabile testo
letterario. Quanto alla storia del concepimento umano, avrebbe tanta voglia di
rispondere: “Sì, Piero Angela deve avermi detto qualcosa del genere… e l’ho
letto anche su Graziarcazzo.com”. Ma non vuole trascinare il sarcasmo più
lontano di tanto.
«Due donne non possono fecondarsi…
Da due uomini nel deserto non nasce niente… Tu sei nata perché tuo padre ha
fecondato tua madre!»
«Almeno
spero!»
«Sarcasmo
a parte, due donne o due uomini non sono una famiglia. Noi vogliamo affermare
questo: che ogni bambino ha diritto a un papà e una mamma».
«I
vostri slogan li conosco benissimo. Ma, parlando sul serio… cosa intenderesti
fare di quei bambini che, per un motivo o per l’altro, non hanno accanto il
genitore dell’altro sesso? Affidarli in massa ai servizi sociali?»
E, qui, la carica della
quarantacinquenne rallenta.
Perché
è così. Quando un “familydaysta” o una Sentinella dice “non odio nessuno”,
oppure “ho molti amici gay”, non è ipocrita. È proprio così. Ha perfettamente chiaro il “principio generale
incrollabile”, ma nessuna idea verosimile di come applicarlo praticamente e giuridicamente. Fosse per lui/lei,
ogni affido di minori a una “famiglia arcobaleno” o ogni controversia
sull’eredità del compagno andrebbero risolti aprendo una causa civile apposita.
Come se non fosse meno stressante e meno congestionante (anche per i tribunali)
una legislazione più chiara e organica in merito, dato che si tratta di situazioni
ormai abituali.
«Nemmeno io ho niente con gli uomini
e le donne che stanno insieme, se sono omosessuali per natura» interviene l’over-50enne. «È che, ormai, va di moda…»
«Sì,
se hai “il valore della famiglia”, sei visto come un bigotto!» riprende l’altra
contestatrice. (Non risulta che sia sposata. Ed ha aperto la giornata
dichiarando che quella sera andrà a
tr***are. Perché è in astinenza).
Visto che vive a fianco dei
genitori, non si può dire che la trentenne non abbia “il valore della
famiglia”. E di bigottismo si è pure sentita tacciare tante volte, da
adolescente, perché non si accodava alla moda dell’amore libero. Ma quello
dell’ “omosessualità-che-ormai-è-di-moda” è un luogo comune e, in quanto tale,
è un ostacolo alla comprensione della verità. Un ostacolo piuttosto fastidioso,
aggiungerebbe. Anche perché… per quale motivo bisognerebbe fingersi gay o
bisex? Per doversi sorbire discorsi come quelli?
Comunque, la trentenne lascia
volentieri la piena del discorso alle due “vecchie”. A quei livelli deprimenti,
la dialettica non l’appassiona di certo. Oltretutto, è ormai consapevole di
come l’ignoranza - circa un aspetto o un altro - dilaghi ovunque. In altre
occasioni, ha dovuto difendersi dai radical chic che negavano la realtà prevalente della gestazione per altri - quella di un vero e proprio contratto di
compravendita, in cui l’autodeterminazione della gestante finisce nel momento
in cui firma. Ancor più spesso, le tocca sentire sciocchezze fotoniche circa il
sapere religioso e le esperienze spirituali.
Quello che non cessa di farla
infuriare è questo: il fatto che
“difendere i valori”, in Italia, significhi farlo col c**o degli altri. E, già che c’è, rinfaccia la scarsità di
“morale tradizionale” proprio nella vita di chi se ne riempie tanto la bocca.
La quarantacinquenne concorda subito: «Guarda, i discorsi della Meloni vanno
presi per quel che sono… Pure nella scuola delle Orsoline, fra le ragazze, io
vedevo cose…! Si fa presto a giudicare gli altri». Ecco, brava. Proprio quello
è il punto.
«Io, comunque, sarei venuta qui per
imparare l’arabo, non per parlare dei fatti miei» taglia la trentenne.
L’unica che non abbia detto niente è
la maestra tunisina - il che dovrebbe fare onore alla sua intelligenza. La
quarantacinquenne è già passata a darle dell’ “araba di m***a”, già che c’è -
sempre “per scherzo”, ovvio.
«Guarda… non si può dire che lei sia
razzista» chiosa la più giovane delle allieve. «Ce l’ha con tutti allo stesso
modo».
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