“Quanto
o quanto poco pericolo per la collettività, pericolo per l’uguaglianza vi sia
in un’opinione, in una condizione e in una passione, in una volontà, in un
impegno, questa è ora la prospettiva morale: la paura è anche qui, di nuovo, la
madre della morale. Contro gli istinti più alti e più forti, quando essi,
erompendo appassionatamente, trascinano il singolo molto al di là e oltre la
media e la bassezza della coscienza del gregge, perisce la coscienza di sé
della comunità, la sua fede in sé, si spezza, per così dire, la sua spina
dorsale: di conseguenza si preferisce addirittura bollare a fuoco e calunniare
appunto questi istinti. La alta, autonoma spiritualità, la volontà di
solitudine, la grande ragione vengono già sentite come pericolo; tutto ciò che
innalza il singolo sopra il gregge e incute timore al prossimo prende d’ora in
poi il significato di cattivo; l’atteggiamento
equo, modesto, l’atteggiamento di chi si inserisce, l’uguaglianza, la mediocrità dei desideri vengono onorati
e designati come morali. Infine, in condizioni molto pacifiche, manca sempre
più l’occasione e la necessità di educare i propri sentimenti al rigore e alla
durezza; e ora ogni rigore, anche nella giustizia, comincia a disturbare la
coscienza; un’elevata e dura nobiltà e autoresponsabilità offende quasi e
suscita diffidenza, «l’agnello», ancor più «la pecora» cresce in
considerazione. C’è un punto nella storia della società di morboso infiacchimento
e spossatezza nel quale la società stessa prende le parti di chi le porta
danno, del delinquente e con tutta
serietà e onestà. Punire: questo le sembra in un certo qual modo ingiusto, -
certo è che il concetto della «punizione» e del «dover punire» la fa soffrire,
le incute paura. «Non è sufficiente renderlo innocuo? Perché anche punirlo? Il punitore stesso è una cosa
terribile!» Con questa domanda la morale del gregge, la morale della pavidità
trae la sua estrema conseguenza. Posto che, in generale, si potesse eliminare
il pericolo, il motivo del timore, si sarebbe eliminata questa morale: essa non
sarebbe più necessaria, essa non si
riterrebbe più necessaria! - Chi prende in esame la coscienza dell’europeo
di oggi dovrà trarre dalla mille pieghe e nascondigli morali sempre lo stesso
imperativo, l’imperativo della pavidità del gregge: «noi vogliamo, che ad un
certo punto non ci sia più motivo di
temere!». Ad un certo punto - la volontà e la via per arrivarvi oggi, in
Europa, si chiama dappertutto «progresso».”
FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE (1886)
Da:
Al di là del bene e del male. Preludio di
una filosofia dell’avvenire, Roma 1996, Newton Compton, 6^ edizione, pp.
122-123. Traduzione di Silvia Bortoli Cappelletto.
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