Il
9 ottobre 2016, per i manerbiesi, era “la Seconda di ottobre”, la domenica
dedicata alla Madonna del Rosario. In occasione di questa festività, il
Fotoclub Manerbio ha voluto organizzare la propria mostra annuale. Essa è
durata dall’8 al 10 ottobre 2016. Il luogo era la Sala Mostre del Palazzo
Comunale. Con grande impegno, erano stati qui collocati pannelli appositi per
l’esposizione delle fotografie. Il tema era libero; era stato permesso ai
fotografi anche scegliere fra la tecnica a colori e quella in bianco e nero. È
stato così possibile ammirare i paesaggi di mare croati e i tramonti sui laghi
di Mantova e di Garda, a opera di Rodolfo Antonioli. Protagonisti erano i
riflessi di luce sull’acqua, specialmente alla fine di una giornata di pesca
(per uomini e cormorani). Ci si spostava in Sardegna con gli scatti di Damiano
Putignano (presidente del Fotoclub): due immagini di anziani su un balcone
contemplavano un paesello; una vecchietta ammantata di nero usciva di casa per
una festa religiosa. La seta dell’acqua riluceva intorno a Capo Comino, mentre
si potevano ammirare le trasparenze di una medusa o il mimetismo di una
sogliola. Poi: una “prateria” di posidonie, effetti di luce “nel blu” e una
stella marina. Un “Vu cumprà” acquisiva una dimensione di esotica solitudine, allontanandosi
su una distesa di sabbia; il medesimo effetto era creato da un passante, ne
“L’uomo e il mare”.
Dario Facchi cambiava quadro, col
“Castello di Neuschwanstein”. Era poi la volta di due predatori assai diversi:
una pianta carnivora e un leone che lambiva l’acqua, al tramonto. Nella
fotografia di un fiore di albicocco, era rimasta magicamente intrappolata un’ape.
Giancarlo Pini aveva mostrato un
paesaggio montano in tre diverse stagioni, per poi completare con “Autunno”.
Una mamma-uccello imbeccava i piccoli (“L’ora della merenda”).
Giacomo Pegoiani aveva puntato sul
sicuro fascino dei ricordi di viaggio. Tre escursionisti procedevano su una
sfolgorante distesa di neve; un altro scatto era dedicato alle impervie rovine
di “Machu Picchu” e un altro ancora alle tre cime di Lavaredo. Non mancavano
scene dalla Norvegia e un paesaggio toscano.
Elisa Benedetto ha guardato alla
complessità del minuscolo. Gocce di rugiada imperlavano foglie; stelle marine
impilate l’una sull’altra sembravano un rosso abete sulla spiaggia (“Punti di
vista”); due farfalle parlavano di primavera e due rose ormai secche indicavano
il “21 Settembre”. Ma, soprattutto, l’obiettivo guardava in volto un ragno, con
un inusuale scambio di “Sguardi”.
Silvio Lamponi scopriva il mistico
passato accanto alla tecnologica contemporaneità, in “Rappresentazioni” (una
santella accanto a un pannello pubblicitario con il logo dell’Expo 2015).
Quattro suoi scatti erano dedicati all’ “Acqua”, elemento polimorfo e
scintillante caro - per questo - ai fotografi.
Nik
Putignano aveva guardato alla suggestione delle rovine, con due scatti
intitolati “Abbandono” (una scala ricoperta dalla vegetazione e una giostra
deserta). “L’occhio” era un foro da cui si scorgeva una porta e “La sosta”
quella di un anziano sotto un segnale stradale. Anche un bucato steso aveva una
sua dignità, col proprio biancore. Damiano Putignano aveva scoperto “L’arte del
riuso” in tre scarpe impiegate come vasi per piante grasse. Costanzo Lini si
era dedicato al Bosco del Fiume Mella. Vladimiro Marinello, alle soglie
dell’Austria, aveva notato un inaspettato totem. Al maglio di Pontevico, aveva
fotografato i prodotti di “Antichi mestieri”; aveva illustrato la “Mobilità sostenibile”
dei Trixi di Barcellona (curiosi taxi-tricicli), per poi passare a una tappa
“Lungo la via Francigena”.
Temi
e colori possono variare. Ma ciò che rende speciale una fotografia è la sua
capacità di cogliere il meraviglioso con un semplice cambio di prospettiva.
Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 114, novembre 2016, p. 8.
Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 114, novembre 2016, p. 8.
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