Parte I: Sorelle
6.
Diana
appoggiava il gomito sul bancone dell’Irish Pub “Il Broletto”. Un’altra delle
sue mete favorite, nelle notti che rubava allo studio o al sonno. Del resto,
lei non aveva mai troppo bisogno di dormire. E una memoria fotografica
sostituiva le ore di applicazione sulle pagine.
Aveva le labbra immerse in quel
liquido giallo dorato, quando colse un certo movimento all’ingresso. Un gruppo
di ragazzi e ragazze si snocciolò nel locale, chiacchierando lietamente. Fra di
loro, Diana colse l’immagine aggraziata e sottile della giovane che l’aveva
urtata nel vicolo, quella notte, vicino alle Poste. Il suo sguardo la seguì,
come se un filo invisibile legasse le sue pupille alla schiena dell’altra. La
vide prendere posto nella saletta adiacente, insieme ai compagni, e affidare il
cappotto grigio a un appendiabiti.
A sorsi lenti e centellinati, Diana
finì il bicchiere. Il suo gesto aveva qualcosa di una calcolata attesa. E,
infatti, poco dopo, la sconosciuta ripassò davanti al bancone, già riavvolta
nel cappotto.
«Ciao!»
L’altra
si riscosse con sorpresa. «Ehi, ciao…!»
Diana
piegò le labbra in compiaciuta ironia: «Si rivede la nottambula».
«Da
che pulpito, eh?» fu svelta a ribattere la destinataria, con voce sorniona.
La
prima sorrise, stavolta per un segreto calore d’apprezzamento. Ha un bello spirito, dietro quel viso di
madonna.
Senza attendere
invito, la sconosciuta guadagnò lo sgabello accanto a quello di Diana e si
sbottonò il cappotto. Un maglione a collo alto e una gonna di lana difendevano
la sua figura di giunco, con gambe che s’indovinavano regolari e forme
piacevoli nella propria discrezione – come lei. Tese verso Diana una di quelle
mani affusolate che lei aveva notato fin dalla prima sera: «Piacere,
Margherita. Margherita Cappello da Verona».
«Non c’era bisogno di tanta
solennità» la punzecchiò garbatamente l’altra. «Comunque, Diana. Diana Romeo da
Pavia. Piacere mio, eccome».
La nuova amica la ricambiò con un
sorriso lusingato. Un velo di rossore ingentilì le sue guance lattee.
«Sono
venuta a bere qualcosa coi miei compagni di redazione, dopo la riunione di
stasera» spiegò. «Scrivo per Inchiostro, il
mensile universitario. Lo conosci?»
«Certo!»
confermò Diana. «Lo vedo sempre in facoltà, nei dispenser».
«E
tu… che ci fai di bello, qui?» replicò Margherita, suadente.
«Solitudine
alcolica». L’altra indossò un tono di misteriosa esperienza. «Favorisce
l’ispirazione».
«Ispirazione…
per cosa?» L’amica sgranò due caldi occhi castani, fra lunghe ciglia.
Diana, allora, prese a parlarle in
termini che le risultavano quasi esoterici, fra black metal, folk metal, pagan metal. «Sono cantante e paroliera in
un gruppo. So che può sembrare una scelta un tantino esterofila… ma mettiamo
molto del nostro retroterra culturale, nella nostra musica. Oltre agli
strumenti elettronici, abbiamo il piffero appenninico, la “musa delle Quattro
Province” e la fisarmonica. Chissà se ti piacerebbe…»
Le sfuggì un’occhiata languida.
Colpa dell’alcool, si disse.
«Magari!»
rispose Margherita, con voce argentina. «Mi piacerebbe andare avanti ad
ascoltarti, davvero… Ma volevo tornare in collegio non troppo tardi».
Diana
si alzò dallo sgabello: «In quale collegio stai?»
«Il
“S. Caterina da Siena”».
«Ti
andrebbe se ti accompagnassi?»
Le
ciglia di Margherita diedero un guizzo: «Certamente!»
Allora,
Diana pagò il conto, recuperò la giacca in cuoio e precedette la nuova amica
verso la porta. Il segreto calore che avvertiva da un poco andava espandendosi
sotto la sua pelle.
[Continua]
Pubblicato sul quotidiano on line Uqbar Love (15 novembre 2016).
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