Presentazione In nome del figlio (2017, Melampo) con "Donne Oltre" di Manerbio |
Il
9 maggio 2018, l’associazione manerbiese “Donne Oltre” ha invitato al Teatro
Civico “M. Bortolozzi” Jole Garuti, direttrice dell’Associazione Saveria
Antiochia Osservatorio Antimafia e autrice di In nome del figlio (2017, Melampo).
Con lei, c’era Elena Palladino, che ha presentato “Orto Libero”: un’iniziativa
condotta all’interno del carcere di Verziano, che consiste in attività di
orticoltura e floricoltura. Al progetto, partecipano associazioni come Libera,
Coop. Pandora, Coop. La Mongolfiera, Terra e Partecipazione.
La serata a Manerbio è stata
condotta da Massimo Gobbi, socio onorario di “Donne Oltre”. La Palladino ha
menzionato l’atteggiamento delle detenute verso “Orto Libero”, vissuto come una
“pausa intima”: un momento in cui vengono riservate alle piante le cure non
destinabili ai figli lontani. Questo (oltre al fatto di dover pagare scelte
spesso fatte per compiacere mariti) renderebbe la solitudine di diverse carcerate
amara in modo speciale.
La
protagonista della serata, naturalmente, è stata Saveria Antiochia: la madre
del poliziotto Roberto Antiochia (Terni, 1962 – Palermo, 1985), ucciso da Cosa Nostra. A lei è dedicato il libro della Garuti. Nella sua sete di verità,
somiglia a Felicia, madre del giornalista Peppino Impastato (Cinisi,
1948 – ivi, 1978). Il 9 maggio, ricorreva anche l’anniversario della
morte di quest’ultimo.
Carla Provaglio ha letto alcuni brani del libro presentato. Un
accompagnamento musicale dal vivo è stato eseguito con archi.
Le
parole della Garuti hanno sottolineato il nesso tra la ricerca della verità e
la crescita culturale e civile di un Paese. Una pagina toccante letta dalla
Provaglio riguardava la “bellezza delle rughe” di Saveria: quella data dalla
loro capacità di raccontare una storia e fare memoria.
Il padre di Roberto Antiochia morì
quando questi aveva otto anni. Quando i fratelli più grandi lasciarono la casa
materna, il suo legame con Saveria divenne esclusivo. Fu lei la sua principale
educatrice. La varietà delle fonti e delle interviste ricostruisce ritratti
sfaccettati delle due figure. I ricordi personali di chi conobbe Roberto lo
descrivono come sensibile, burlone e anticonformista.
Carla Provaglio |
Volle
entrare in Polizia per idealismo. Nel 1983, approdò alla squadra mobile di
Palermo. Qui, lavorò con Beppe Montana alle indagini su Cosa Nostra. La sezione
guidata da quest’ultimo si occupava della cattura dei latitanti. Impresa non
certo facile: la squadra era poco numerosa e male attrezzata. Situazione
denunciata da Saveria nella sua celeberrima lettera pubblicata su “La Repubblica”: Li avete abbandonati (22 agosto 1985).
Montana
fu assassinato il 28 luglio 1985. La stessa sorte toccò a Ninni Cassarà, anch’egli membro della
squadra mobile e amico di Roberto. Questi, per l’appunto, non volle lasciarlo
solo. Furono così assassinati insieme, il 6 agosto 1985.
Dell’omicidio
di Montana, era stato accusato Salvatore Marino, “stranamente” torturato e
ucciso in questura. Ciò fece pensare a Saveria che una “talpa” fosse presente
nella polizia e che fosse interessata a far tacere Marino. Sospetto confermato
dal pentito di mafia Francesco Marino Mannoia.
Grazie
a Saveria, che si rese “voce del figlio”, su questi delitti fu fatta luce.
Sempre lei si batté perché, dagli elenchi delle vittime di mafia pubblicamente
ricordate, fossero escluse quelle dei “regolamenti di conti”. La conclusione
della serata è approdata all’importanza delle scelte morali, per evitare
quell’indifferenza che produce la “banalità del male”. Una banalità
caratterizzata dal privare la persona di dignità, fino al punto di bruciarla
come un rifiuto.
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