Il
2 giugno 2018, si è ripetuto con successo l’ “esperimento” voluto
dall’associazione di promozione sociale “Chorouk”, che raduna i musulmani di
Manerbio. L’evento si chiamava “Iftar Street: una cena insieme per una Manerbio più unita”; si è tenuto in via Strada Vecchia per Milzanello n. 2. Per
l’appunto, si trattava di aprire alla cittadinanza un iftar: una delle cene del
mese di Ramadan, con le quali viene rotto il digiuno diurno. Era un modo molto
concreto di far attraversare le barriere culturali, per vivere un momento
tipico degli “altri” - che sono, in realtà, i vicini di casa, quando non
coinquilini. Il Ramadan è intensamente simbolico, in questo senso: vissuto
nella quotidianità, rimane un “marcatore” delle distanze culturali, così come
il velo di molte donne e ragazze. I membri della “Chorouk” hanno riservato a sé
l’aspetto impegnativo ed ascetico del mese sacro, mentre hanno volentieri
condiviso quello conviviale.
“Niente è più efficace dell’alcool
nell’unire i popoli!” commentava la signora Verneuil, nella commedia
cinematografica francese Non sposate le mie figlie! (2014; regia di Philippe
de Chauveron). Trattandosi di una cena organizzata da musulmani osservanti,
l’iftar del 2 giugno non serviva alcolici. Ma hanno funzionato ancor meglio le
pietanze casalinghe, preparate secondo ricette tipiche delle varie etnie
rappresentate. Sono stati serviti pani e focacce di diversi tipi; datteri,
naturalmente; uova, pollo, cereali. Sulle tavole, ben campeggiavano le
“tajine”, le tipiche pentole maghrebine, coniche e di terracotta decorata. Le carni
in umido che vi erano cucinate erano abbondantemente insaporite da prugne e
mandorle. Questo per citare solo una parte della varietà del menu, del quale ci
si poteva servire a scelta. Le pietanze erano state portate dalle persone che
si radunano abitualmente per la preghiera. La funzione di camerieri era stata
affidata a ragazzi e ragazze. «Al nostro invito, sono venute più persone di
quanto immaginassimo e questo ci ha fatto un enorme piacere!» ha affermato
Allal Martaj, presidente della “Chorouk”. «L’atmosfera era serena e di unione.
Dopo la cena, si è tenuta la nostra preghiera; le persone non musulmane hanno
avuto la possibilità di visitare il luogo in cui si teneva».
Le ragazze che avevano servito la
cena si sono offerte, per chi volesse, di realizzare tatuaggi all’henné sulle
mani. Un tempo segni benauguranti per le spose, o sacri per sacerdoti e
sovrani, oggi sono disponibili a chiunque. Anche se un certo qual sentore di
buon augurio e legame non è andato perduto: così come l’invito all’iftar, i
tatuaggi all’henné sono stati un modo per sancire una convivenza interetnica che
difficilmente sarà temporanea - quantomeno, per chi ha già intessuto una rete di
rapporti lavorativi e personali in loco. E proprio a una cena somiglia l’arte
del vivere insieme: casalinga, concreta, dall’aspetto semplice… ma basata su un
meticoloso lavoro che rimane dietro le quinte.
Pubblicato su Paese Mio
Manerbio, N. 133 (giugno 2018), p. 10.
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