Tavolata multietnica. |
Osservare
come mangia una comunità significa conoscere molto di essa. Forse, anche a
questo ha pensato l’associazione islamica manerbiese “Chorouk”, quando ha
diffuso questo invito: partecipare a una
delle cene del Ramadan, in cui viene rotto il digiuno giornaliero. Il pasto del
18 giugno 2017 è stato aperto anche ai manerbiesi non musulmani. Questa cena è
detta “iftar”.
I commensali hanno atteso il
tramonto, com’è prescritto. I discorsi di benvenuto sono stati pronunciati da
Allal Martaj, presidente di “Chorouk”, e da Issa Nabil, l’imam locale. Essi concordavano
sulla necessità di “abbattere i muri” ed essere “come una sola famiglia”. Ciò
ricorda una nozione comune all’Antico Testamento (Gn 11, 1) e al Corano (II,
213): quella di un’umanità originariamente unita in una sola comunità.
Datteri, uova sode, dolci con sesamo e miele. |
Il tipico menu di un iftar conta molte
variabili regionali. I membri di “Chorouk” hanno cercato di “riassumerle”. C’erano
“piramidi” con datteri, biscotti al sesamo e al miele, uova sode. È stata servita
una zuppa di ceci e verdure, nota come “harira”: tipica della cucina berbera.
Essa è un piatto unico, pensato per recuperare le energie dopo un digiuno; con
questa funzione, compare anche nelle tradizioni ebraiche. Erano poi presenti
diverse “tajine”, recipienti in terracotta di forma conica, impiegati nella
cucina nordafricana. Una conteneva carne in umido con prugne, uova e mandorle.
In un’altra, l’umido era accompagnato da carciofi, piselli e olive. Un’altra
ancora presentava riso con uova e ogni sorta di verdure. Piccoli panini rotondi
erano imbottiti con carne di manzo speziata e peperoni. Fra i tipi di pane,
c’era quello detto (appunto) “pane arabo” e uno simile alle crêpes (morbido,
piatto, con olio e burro). Immancabile il cous cous (con carne, zucca, ceci).
Oltre all’acqua, si potevano bere tè alla menta e succhi di frutta.
Tavola imbandita per l'iftar. |
La preparazione della cena era stata
compito delle massaie. Essa, come ogni iftar, era pensata come momento di
condivisione e carità. Era infatti abbinata a una “spesa della solidarietà”,
raccolta di generi di prima necessità per i bisognosi. «Il cibo è di Dio» ha
spiegato uno dei commensali: una proprietà di tutti, dunque.
Il Ramadan (ha spiegato Martaj)
serve come purificazione dalle negatività abituali, legate al prevalere
dell’impulso su spirito e ragione. Una giovane signora tunisina ha raccontato
che, laddove le tradizioni islamiche sono molto radicate, il mese sacro
registra davvero un cambio delle abitudini. Persino chi non è molto osservante
porta velo e abiti rituali per pregare; e, in quel periodo, la delinquenza si
ferma.
Il momento più atteso del Ramadan è
la “Notte del Destino”: quella in cui si ricorda il dono del Corano al Profeta.
Essa è destinata a una veglia di preghiera. Con la preghiera, si è concluso
anche l’iftar del 18 giugno, per i musulmani. Gli altri si sono accontentati (e
non è poco!) di gustare un momento quasi magico, che pareva voler lottare
contro le nubi della cronaca nera.
Paese
Mio Manerbio, N. 122 (luglio 2017), p. 11.
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