Egregio
prof. Aldo Durì, dirigente scolastico dell’ I.S.I.S. (ironia dei nomi?) "Malignani 2000" di Cervignano del Friuli,
Lei è stato latore di vere e proprie perle, circa concetti-chiave come “laicità”, “tolleranza”
e “(anti)razzismo”.
Partiamo dal titolone: No al velo in classe. Il preside: «Può generare razzismo».
Contesto: un’aggressione a sfondo islamofobo nella Sua scuola, dopo le ultime prodezze dell’Isis (quell’altro, non il Suo). Mi permetto di testimoniarLe la mia solidarietà: episodi del genere sono sempre i più spinosi da affrontare, per un dirigente scolastico coscienzioso. E come viene affrontato?Intanto, ricordando che non sono ammessi copricapi durante le lezioni. Ottimo. Basterebbe questo a chiudere la vicenda: il velo fuori dalla scuola, in classe capo scoperto. Doverosa e corretta anche la Sua decisione di espellere il picchiatore.
Poi, però, salta fuori il Perlone d’Oro: «Essendo la scuola italiana laica e indifferente al credo professato dagli allievi e dalle loro famiglie non sarà accettata da nessuno l’ostentazione e l’esibizione, specialmente se imposta, dei segni esteriori della propria confessione religiosa perché essa, in fin dei conti, può essere colta come una provocazione e suscitare reazioni di ostracismo, disprezzo o rifiuto. Tale è, ad esempio il fazzoletto o velo che copre talvolta i capelli e parte del viso delle ragazze musulmane».
La scuola italiana è indifferente al credo degli allievi. Ottimo anche questo. L’indifferenza, però, è quell’atteggiamento magistralmente descritto dal Poeta: non ragioniam di lor, ma guarda e passa. Ergo: non vietare, né imporre. Se il regolamento della Sua scuola imponesse il velo islamico alle ragazze (o il Ramadan… o il cilicio… o i sacrifici ad Artemide…), esso contravverrebbe alla laicità della scuola pubblica. Così, invece, il Suo provvedimento non è indifferente: è apertamente ostile alla manifestazione di un culto – una manifestazione che, di per sé, non offende, non limita la libertà altrui, non crea problemi di ordine pubblico. Vedasi l’art. 8 della nostra Costituzione.
Lei dice che è una misura preventiva, per evitare una provocazione. Questo concetto mi ha fatto venire i brividi… sa perché? Perché ricalca, paro paro, le argomentazioni di chi consiglia alle coppie omosessuali di nascondere le proprie effusioni, per non provocare; o di chi dice alle donne di non indossare abiti vistosi, per non provocare. Ci manca solo che qualcuno accusi gli africani di generare razzismo, ostentando la pelle nera… e le avremmo collezionate tutte.
Scrivendo cose simili nella Sua circolare, Lei esprime una preoccupazione comprensibile nella Sua posizione. Ma si schiera anche contro le Sue allieve, quelle che vorrebbe proteggere dal razzismo. Invece di difendere la loro libertà di manifestare la propria provenienza etnica, la limita… dando implicitamente ragione a chi verrebbe provocato da loro.
Il razzismo non è nel velo: è nel razzista. E chi vuole educare i propri allievi a convivere nella differenza non può, per nessuna ragione, venire a patti con questo assunto.
Distinti saluti,
Erica Gazzoldi
P.S. So che, in questo caso, si dovrebbe parlare di "islamofobia" o di "xenofobia". Ho impiegato il termine "razzismo" per riecheggiare il titolo dell'articolo.
Partiamo dal titolone: No al velo in classe. Il preside: «Può generare razzismo».
Contesto: un’aggressione a sfondo islamofobo nella Sua scuola, dopo le ultime prodezze dell’Isis (quell’altro, non il Suo). Mi permetto di testimoniarLe la mia solidarietà: episodi del genere sono sempre i più spinosi da affrontare, per un dirigente scolastico coscienzioso. E come viene affrontato?Intanto, ricordando che non sono ammessi copricapi durante le lezioni. Ottimo. Basterebbe questo a chiudere la vicenda: il velo fuori dalla scuola, in classe capo scoperto. Doverosa e corretta anche la Sua decisione di espellere il picchiatore.
Poi, però, salta fuori il Perlone d’Oro: «Essendo la scuola italiana laica e indifferente al credo professato dagli allievi e dalle loro famiglie non sarà accettata da nessuno l’ostentazione e l’esibizione, specialmente se imposta, dei segni esteriori della propria confessione religiosa perché essa, in fin dei conti, può essere colta come una provocazione e suscitare reazioni di ostracismo, disprezzo o rifiuto. Tale è, ad esempio il fazzoletto o velo che copre talvolta i capelli e parte del viso delle ragazze musulmane».
La scuola italiana è indifferente al credo degli allievi. Ottimo anche questo. L’indifferenza, però, è quell’atteggiamento magistralmente descritto dal Poeta: non ragioniam di lor, ma guarda e passa. Ergo: non vietare, né imporre. Se il regolamento della Sua scuola imponesse il velo islamico alle ragazze (o il Ramadan… o il cilicio… o i sacrifici ad Artemide…), esso contravverrebbe alla laicità della scuola pubblica. Così, invece, il Suo provvedimento non è indifferente: è apertamente ostile alla manifestazione di un culto – una manifestazione che, di per sé, non offende, non limita la libertà altrui, non crea problemi di ordine pubblico. Vedasi l’art. 8 della nostra Costituzione.
Lei dice che è una misura preventiva, per evitare una provocazione. Questo concetto mi ha fatto venire i brividi… sa perché? Perché ricalca, paro paro, le argomentazioni di chi consiglia alle coppie omosessuali di nascondere le proprie effusioni, per non provocare; o di chi dice alle donne di non indossare abiti vistosi, per non provocare. Ci manca solo che qualcuno accusi gli africani di generare razzismo, ostentando la pelle nera… e le avremmo collezionate tutte.
Scrivendo cose simili nella Sua circolare, Lei esprime una preoccupazione comprensibile nella Sua posizione. Ma si schiera anche contro le Sue allieve, quelle che vorrebbe proteggere dal razzismo. Invece di difendere la loro libertà di manifestare la propria provenienza etnica, la limita… dando implicitamente ragione a chi verrebbe provocato da loro.
Il razzismo non è nel velo: è nel razzista. E chi vuole educare i propri allievi a convivere nella differenza non può, per nessuna ragione, venire a patti con questo assunto.
Distinti saluti,
Erica Gazzoldi
P.S. So che, in questo caso, si dovrebbe parlare di "islamofobia" o di "xenofobia". Ho impiegato il termine "razzismo" per riecheggiare il titolo dell'articolo.
Qui l'elenco completo delle circolari dell'istituto. Vedasi quella del 12 febbraio 2015, intitolata "I Musulmani dell'ISIS".
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