Venite più avanti, tarocchi imbellettati,
indovini sfranti di giorni trapassati:
io, come Cirano (1), affilo questo
foglio,
perché, su di esso, uccido quando voglio.
So che sono solo un’infima figura,
nel mazzo dei destini di dubbia fattura;
ma proprio non sopporto chi cincischia con le carte
e quelli che della vanità han fatto un’arte.
Io son fante di coppe (2) e tu un re di
quattro semi,
ma, sopra questo panno, tutti e due fermiamo i remi:
qui, ognuno è la propria nuda faccia,
nella cabala del caso che i destini allaccia.
Voi, profeti da fiera, che vendete a tutti un’altra
vita,
guardatevi nel cuore: l’avete già tradita.
E voi che, a chi contesta, date del “decostruzionista”:
masturbatevi le idee, lasciatemi la vista.
A quelli come me, che han duplice cuore,
forse è proibito il sogno di un amore;
non so chi ho più amato fra quelli che ho avuto;
per colpa o per destino, la metà intera ho perduto.
Ma ogni Rossana è bella e belli i Cirano “diversi”:
non importa, a lor parliam coi versi
e, ogni volta che c’incontra l’arcano degli Amanti,
non s’è riempita invano la coppa di noi fanti.
(1)
La
poesia si ispira alla canzone Cirano, di
Francesco Guccini (1996).
(2)
Figura
dei tarocchi che rappresenta la giovinezza, l’arte, l’idealismo e l’amicizia.
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