Davanti
alla tenda di Barbarah, si può sostare solo in punta di piedi e con un vago
sentore di pudore violato. Perché la veste casual
del verso libero non copre e non edulcora. La tenda trasparente nelle trame rotte (p. 32) lascia vedere una nuda vestita, femminile e pura nel suo
rosa carne (p. 33), che s’immerge nel mare di se stessa.
I
pesci sono volti e dettagli, guizzanti in anfratti di memoria. Risalgono da
essi le righe di pioggia (p. 58)
disegnate un tempo col nonno, o una scatola di savoiardi che a me non piacevano neanche troppo (p. 63), ma resi inestimabili
dal loro tramonto. Barbarah torna sempre
al suo vecchio posto dove amò la vita, come dice Vinicio Capossela. Là,
c’erano la campagna e il mare. Ma anche la
chiesa bianca di Loreto (p. 58), le margherite che odoravano di cimiteri
(p. 55) e uova che erano il giallo del
sole portato sulla terra (p. 53). Il paradiso è coi pollini che accarezzano
il viso, mentre si fissa il mare (p. 40). Un
orizzonte non deve avere i confini (p. 39), ma le montagne sono sempre
fuori dalla finestra e le anime bianche
di tisi (p. 39) vi proiettano sopra il proprio futuro. Così, la passione è
velleità di corsa, è saltare sul rogo dei feticci domestici: fINIRAI CENERE, MA VIVA (p. 43). Non è
detto che l’oasi, la Terra Promessa e il grande amore si trovino fuori dal
cerchio dell’infanzia. Non è detto che si trovino fuori dai pollini, dai disegni
colorati e dal mare. Perché semplice è
l’amor e le semplici cose se le divora il tempo (Vinicio Capossela).
Barbarah Guglielmana, Davanti alla tenda, (“Collana Blu –
Erato 278”), Faloppio (CO) 2014, LietoColle, 63 pp.
Grazie Erica della tua recensione, della tua delicatezza nel girare le mie pagine...
RispondiEliminaGrazie a te... che apprezzi sempre troppo le mie recensioni. ;)
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