Un
termine inglese si fa sempre più strada nel campo delle neuroscienze e delle
psicoterapie: Mindfulness. È un
termine difficile da tradurre e che, a propria volta, traduce un vocabolo in
lingua pali: sati. Può essere reso
come “consapevolezza”. Il sito del CISM (Centro Italiano Studi Mindfulness) la definisce come “uno stato mentale, «una modalità dell' essere, non
orientata a scopi, il cui focus è il permettere al presente di essere com'è e
di permettere a noi di essere, semplicemente, in questo presente» (Teasdale),
che può essere coltivato e stabilizzato attraverso particolari tecniche. È uno stato mentale non concettuale, non‐discorsivo,
non‐linguistico, e che soprattutto ‘apre’ a
degli insight che portano alla comprensione profonda del funzionamento della
mente stessa.”
Questo campo di studi fu aperto dal biologo
molecolare Jon Kabat-Zinn.
Verso la metà degli anni ’60, cominciò a praticare yoga e meditazione come
percorso personale. L’unione fra le sue conoscenze scientifiche (anche
anatomiche) e di questa sua esperienza gli diede l’idea di creare un percorso
strutturato adatto agli occidentali, col fine di ridurre il dolore e lo stress.
Nel 1979, con il sostegno del primario di Medicina Interna del Medical Center
dell'Università di Worcester (Boston
–Massachusetts), fondò la prima Clinica per la riduzione dello stress
basata sulla coltivazione della Consapevolezza.
Proprio alla Mindfulness, figlia di questo matrimonio fra antico e nuovo,
tradizionale e scientifico, si riferisce il maestro zen Tetsugen Serra (Milano, 1953), con il suo neologismo: Mindfulzen.
Egli iniziò la propria formazione a
Tokyo, col maestro Tetsugyu Soin Ban Roshi; ricevette il Dharma (= insegnamento) nel lignaggio di Harada Roshi dal maestro
Tetsujyo Deguchi. Nel 1986, si diplomò Zen Master Shiatsu all’Istituto di
Shitsuto Masunaga, presso lo Iokai Shiatsu Center, sempre di Tokyo. Rientrò in
Italia nel 1988. A Milano, ha fondato il monastero Enso-ji (Il Cerchio) e la Scuola Zen Shiatsu. Nel 1996,
è nato anche Sanbo-ji, il Tempio dei Tre Gioielli, a Berceto, in provincia di Parma.
Mindfulzen, naturalmente,
è un modo per indicare il raggiungimento della Mindfulness attraverso la pratica della meditazione e l’esperienza
della tradizione buddhista sino-giapponese. Come Kabat-Zinn, il maestro
Tetsugen si rivolge esplicitamente all’uomo occidentale nelle condizioni di
vita contemporanee: urbane, frenetiche, spesso invitanti all’egoismo e alla
superficialità. Il gioco di rimandi fra esperienza secolare ed era digitale è
evidente anche nel titolo del primo libro che Serra ha dedicato alla Mindfulzen: Zen 2.0 (Milano 2014,
Cairo).
Il focus dell’opera è la ricerca
della felicità: qualcosa che
sembrerebbe da inseguire, da afferrare, come il premio di una corsa. La
concezione proposta dal maestro Tetsugen è l’inverso: la felicità è qualcosa
che si trova dentro l’uomo, “la nostra condizione naturale di vita”
(p. 10). Trovarla significa snebbiare la mente e “vivere ogni istante della
vita per quello che realmente è e non solo per come pensiamo sia” (p. 9),
perché “la mente, il corpo e lo spirito possono trarre gioia da ogni momento
del vivere” (p. 10).
Ciò che è necessario, dunque, è
disintossicare la mente da una serie di veleni quotidiani: lo stress, la paura
di essere inadeguati o “diversi”, le abitudini, le agitazioni emotive, le
dipendenze - anche da modi di vivere o da credi. “La biologia molecolare sta
iniziando a scoprire che, con appropriati stimoli, i nostri geni sono tanto
modificabili quanto le nostre cellule. Fornendo gli stimoli chimici e
neurologici giusti, possiamo sbloccare la ripetitività, il condizionamento
della nostra mente. Darle la possibilità di pensare libera dagli schemi che si
sono formati negli anni” (p. 12). Quegli stessi schemi che ci fanno spesso
considerare il presente una situazione scomoda in cui vivere, o che ci
convincono di essere in qualche modo “inadeguati”; che ci bloccano in un
ricordo infelice, o che ci fanno rimandare felicità e iniziative al futuro. Che
ci fanno appiccicare etichette alle persone “conosciute” o che generano
pensieri che aumentano il peso del vivere.
I consigli del maestro Tetsugen sono
semplicissimi. A volte, comprendono carta e penna: contemplare una linea e un
punto, per capire se si è più attratti dalla prima (= fuga dal presente) o dal
secondo (= immersione nel reale); elencare i momenti di contrarietà della
giornata, per prendere coscienza del perché ci abbiano reso infelici. Di
fondamentale importanza, però, è la respirazione,
fulcro delle pratiche spirituali asiatiche. Dalla profondità del respiro
dipende quella del sentire. Esso deve essere circolare (senza pause fra
emissione ed immissione dell’aria), coinvolgere tutto il corpo, essere fluido e
coinvolgere un solo canale (o naso, o bocca).
Sul modello dell’Ottuplice Sentiero, Serra propone otto
punti fondamentali per l’esercizio della Mindfulness:
il non-giudizio (non giudicare cose e persone, lasciare che si manifestino a
noi così come sono); la pazienza (non forzare i tempi naturali); la mente
principiante (libera da preconcetti); la fiducia (non voler dominare tutto ciò
che accade); l’assenza di aspettativa (non restare mentalmente attaccati alle
esperienze già vissute o a ciò che si vorrebbe); l’accettazione (prendere atto
della realtà); il lasciare la presa (abbandonare
l’idea di poter/dover controllare tutto e tutti); l’amore (passare all’azione
per il bene altrui).
“Naturale” seguito di Zen 2.0 è Zen 3.0 (Milano 2015,
Cairo). Stavolta, Tetsugen Serra si focalizza sulla pratica della meditazione. Racconta la giornata dei
monaci zen: si alzano prima che sorga il sole e si siedono in zazen (tipica meditazione a gambe
incrociate). “Il monaco zen è già sveglio, pronto a cogliere il risveglio della
vita e della natura. Egli non entra nella giornata già iniziata, ma sorge con
il sole..” (p. 40). Il suono della campana tibetana riempie tutto lo spazio
dell’universo: “Il giorno sta nascendo, noi nasciamo con esso, non c’è
assolutamente nient’altro” (p. 48). Per chi non vive in un eremo, è possibile
scegliere una suoneria dolce per la sveglia, per “ricostruire” il corpo
abbandonato nel sonno. E, naturalmente, si consiglia di portare il respiro via
via in ogni punto del corpo.
Uscendo di casa, la domanda da porsi
sarebbe: “qual è la motivazione principale del giorno?” (p. 68). Ed è veramente
nostra? Anche questo interrogarsi al mattino, secondo il maestro Tetsugen, è
meditazione. Naturalmente, sono necessarie compassione e autoironia. Meglio
superare le soglie col piede sinistro:
quello compreso nella parte del sistema nervoso che regola le emozioni profonde
e gli istinti. In questo modo, ci si ricorderebbe di ascoltare anche l’intuito,
mentre la ragione ha la funzione di riequilibrare.
Questa cura, questa consapevolezza -
Mindfulness, appunto - si estende a
ogni momento della giornata. Impedisce di comprare cose inutili, di rubare
spazio agli altri, di caricarsi di stress non necessario. Mostra come il cibo
che mangiamo sia energia dell’universo - quindi sacro e prezioso. Elimina la
sensazione di essere separati e minacciati dal mondo circostante, nel quale una
persona consapevole entra - invece - con la pacata sicurezza del leone nel
proprio habitat. Tiene lontani i Tre
Veleni: rabbia, avidità, stoltezza.
La Mindfulzen non è un risultato conseguibile una volta per tutte.
Come spiega il maestro Tetsugen, “è un continuo divenire della nostra mente e
del nostro cuore, un’incessante trasformazione consapevole nella nostra vita” (Zen 2.0, p. 164). Soprattutto, non è
appannaggio di nessuna setta, istituzione o dottrina. “La spiritualità
appartiene a ognuno di noi per il solo fatto di esistere […] la meditazione
appartiene all’essere umano che vuol essere consapevole del proprio vivere e
conoscere la profondità della propria esistenza” (p. 59).
Pubblicato sul quotidiano on line Uqbar Love (6 luglio 2016).
Mille Gassho
RispondiEliminaNel Dharma
Tetsugen
Mille Gassho a Lei. Grazie infinite!
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