“Ci sono due tipi di uomini. Il vermiciattolo umano, per nulla turbato nel suo torpore millenario, prosegue la propria piccola esistenza senza troppa pena.
I suoi dolori: l'imprevisto che arriva come alla coda della lucertola, che un nonnulla fa cadere, che un nonnulla fa ricrescere, e della quale il prezzo è qualche goccia di sangue freddo! Le sue gioie: solleticamenti della gola e di certi altri organi. E' tutto ed ecco l'uomo, l'uomo contento di esistere. Gli basta un colpo di dito per farlo vacillare. Poi, la bestiola scalpita...
Per fortuna [...] a gloria della Vita, c'è un altro uomo: è colui che non è mai e nient'affatto contento! Non gli piace più fare ciò che ha fatto troppo a lungo, né essere là dove ha vissuto troppo a lungo. Indietreggiare, piuttosto che stagnare. E meglio urlare che non sentire nulla. Quest'uomo non può persistere né nel riso, né nel gemito, come non lo può nella fortuna né nella sventura. Tutto gli va bene per un certo tempo, perfino il carcere, ma nulla a tempo indeterminato, neppure la libertà. E' l'uomo che ha scoperto la ruota e non si è fermato ad essa. E' parimenti quello che spintona senza posa la vita e la spinge a tutti gli estremi, buoni o cattivi. Questo tipo d'uomo sembra essere molto interessato, ma non lo è affatto, perché se gli si toglie tutto, egli si trova ancora di meglio! Tagliategli le braccia, lavorerà con i piedi. [...]
C'è un terzo tipo d'uomo: è colui che è arrivato, dopo sofferte ricerche, all'imperturbabilità, e che è ugualmente contento nella sventura come nella felicità!"
(Da: Panaït Istrati - Josué Jéhouda, La famiglia Perlmutter, 1927)
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