Il Tempo è indifferente e perciò affascina? Ma che significa esistere?
L’emarginazione non è mai voluta?
Gianni Marcantoni |
L'emarginazione intesa
come “ritiro” può essere voluta, ossia ricercata in maniera consapevole… peggio
se subita per via del comportamento altrui. Spesse volte può nascere da un
tentativo di sopravvivenza, una difesa dalle aggressività esterne che molto
spesso riceviamo… ma non necessariamente deve corrispondere a un isolamento,
questo a mio avviso sarebbe certamente sbagliato. Il discorso del tempo può
avere molti significati, riguardo al tempo non mi sento affascinato, il tempo è
come una lama a doppio taglio: ovunque lo giri, ferisce. È qualcosa di
sfuggevole, che dobbiamo subire, senza poter far nulla… il suo scorrere incessante
non mi sembra porti a molto di buono, considerato che ci conduce a un
decadimento sia fisico che intellettivo. Il tema dell'esistenza è molto
complesso da descrivere in una risposta… credo che voglia dire essere presenti
con consapevolezza, una presenza non solo fisica, ma anche come vita nel mondo,
come percezioni, il poter creare qualcosa, darsi e vivere delle opportunità,
conoscere, arricchirsi interiormente e quindi crescere. Poi conoscere le tante
bellezze che ci sono nel mondo penso abbia a che fare con l'esistenza… dare
qualcosa di noi alla vita, che possa avere un valore. Tutto ciò dà la
consapevolezza di essere vite in mezzo al mondo.
E i terrapiattisti per esempio, ti stanno simpatici…?
Non ho approfondito le
loro teorie, ma sostenere l'irreale e negare la realtà, beh, certamente aiuta a
nessuno.
Per diventare pessimisti deve succedere qualcosa di tragico, tipo…
amare?
Forse per essere
pessimisti non deve succedere niente. Il pessimismo è una chiave di lettura
dell'esistenza. Si può essere pessimisti anche per indole, non penso sia una
cosa che si decida razionalmente. Gli eventi intorno a noi possono contribuire,
ma poi il senso di quello che accade lo diamo in base al nostro personale modo
di percepire. Quando pensiamo al futuro, a ciò che ci è sconosciuto, spesso
sentiamo un po' di paura, abbiamo timore di qualche catastrofe, spesso ci sono
queste percezioni tra gli uomini che mi sembrano molto più comuni di quanto si
possa credere. Del resto molti sono i dogmi che ci circondano, dalla nascita fino
alla morte, e questo può creare una certa inquietudine, molti timori poco
rassicuranti per l'uomo. Comunque nella poesia può esserci un pessimismo
velato, che credo nasca da una chiara visione del mondo, ma mai esagerare con
questa condizione dell'uomo. Bisogna guardarsi intorno il più possibile senza
focalizzarsi troppo su ciò che è oscuro, o comunque raccontarlo in mille modi
diversi. Questo penso crei ciò che chiamiamo stile.
Sei uno che di notte dà il buongiorno?
Di notte spesso tiro
tardi, è un momento della giornata certamente molto intenso, molto stimolato
dal silenzio e dalla pace che si crea. Finalmente grazie alla notte tanta gente
si placa, si tace, e va a dormire, lasciando in pace il mondo circostante.
Interpretare la realtà poetando, generalmente è da cabarettisti (e per
giunta irraggiungibili)...?
La poesia deve nascere
dalla realtà. Puoi dargli la chiave di lettura che vuoi... può darti uno
slancio verso un mondo immaginario, parallelo, ma tutto deve nascere da quello
che siamo, da quello che vediamo, da quello che conosciamo e che sentiamo in
maniera diretta, poiché la vera poesia deve essere autentica. Per “realtà” si
dovrebbe intendere questo. Deve essere qualcosa di vicino all'uomo, alla
sensazione dell'animo, alla nostra condizione sia spirituale che terrena. Vi è
al riguardo una citazione di Vissarion Bielinski molto interessante, che dice
“Nella poesia, la vita è ancor più vita che la vita stessa”.
La libertà quand’è che annulla la poesia in corso d’opera?
Nella poesia per me la
libertà non viene mai annullata. La poesia, la parola è sempre libertà, e deve
sempre mantenere nella scrittura la sua libertà. Questa è la bellezza, e anche
la forza che deve avere la poesia. La poesia deve renderci liberi e nascere dal
coraggio di dire cose che difficilmente abbiamo l'onestà di dire. Non dobbiamo
cercare ciò che può rassicurarci, sarebbe inutile, e nemmeno dire quello che
astutamente vorremmo sentirci dire dall'altro. In questo non ci sarebbe nessun
atto di libertà, anzi.
Scrivendo non vedi l’ora di leggerti?
No, poiché quando
scrivo, ciò che scrivo passa già attraverso di me, non mi serve una rilettura.
Spesso rileggo ovviamente con l'intento di correggere un testo. Dopodiché la
poesia è pronta e di rado torno a leggere i miei testi.
Le presentazioni di un libro ti smuovono ancora qualcosa nelle vesti di
autore e/o di lettore?
Un poeta vivente può
dare un valore aggiunto alla presentazione della propria opera. Quando presenti
a un pubblico la tua opera riesci a farla rivivere con la stessa intensità con
cui l'hai scritta. Leggendo tu stesso rivivi quella condizione, quel momento
che ha dato impulso ai versi… è una opportunità importante per chiarire anche
alcuni aspetti che magari altrimenti non verrebbero colti da una semplice
lettura di un altro. Poi conoscere l'autore è importate per rendersi conto di
come sia potuto nascere quello che ha scritto. Il tono della voce, l’intensità,
lo sguardo, i movimenti, i silenzi... hanno molta importanza per capire appieno
la complessità di un'opera.
La nascita dell’essere umano rimediabile tra le mura
domestiche (tipica del tempo che fu, di quando l’umiltà del nucleo familiare
veniva considerata propositiva a dir poco) purtroppo si complica
all’inverosimile, sortendo un dramma lacerante… un fatto tragico, da esporre
come tanti altri che caratterizzarono la realtà del Paese negli anni ’30; sotto
l’etereo distante, colmabile però immaginando d’avere un potere come quello di
espandersi usufruendo del senso del tatto, e raccogliere così la persona cara.
“Non chiedo di essere
perdonato, e non chiedo nemmeno di essere tanto amato. Non credo che chiedere
mi sia mai stato realmente concesso”.
Marcantoni agisce accompagnato dai suoi dolori ossei,
sollevato dalle cose che tacendo ridestano inutili, leggiadri movimenti… già,
il tempo di muoversi piano e il senso di disorientamento occupa la sua memoria,
come a rendersi incapace di dipendere da una persona alla fin fine.
Il poeta focalizza il sempre di una passione, consapevole di
un’occasione non colta, come quella di esistere difettando liberamente, in
solitudine, fino a colmare il senso di vuoto col suo essere vacante, senza
alterare l’umanità a livello spirituale.
L’integrazione si riferisce dunque a dei soggetti che non ci
sono più, mortalmente aggrediti, mai ripresisi dalla superbia e dalle
ingiustizie, e cioè da gesti realizzati a scapito di anime innocenti, che non
sapevano cosa volesse dire reagire, e addirittura anche per rimediare alle
proprie debolezze… ebbene, il desiderio di raccoglierle in un contesto
prettamente territoriale significherebbe farle rivivere, ma stavolta
dignitosamente, allo scopo di recuperare l’opportunità d’esprimersi, e ricavare
naturalmente i requisiti per esistere, potendo finalmente crescere nel rispetto
delle regole, piacevole purché quest’ultime siano chiare.
Per Marcantoni questo darci alla luce andrebbe salvato,
perché è conforme all’unica forma di preghiera in circolazione oggigiorno,
ciononostante il poeta s’attribuisce delle colpe, non volendo immaginare che
una benché minima richiesta da parte sua passi in rassegna.
Un indizio esistenziale s’illumina in particolare, e lo si
può scorgere dall’alto verso il basso, essendo distanti, incapaci di definirci
col buonsenso nel nome di un poeta come Gianni, che comunque riesce a intuire
la quotidianità in un cenno d’intesa.
Naturale e silenziosa in alternativa, la gustosa
provocazione vitale non si fa assorbire dalla sapienza dell’autore che assiste
in caduta libera agli eventi che lo formano, per poi brillare semmai grazie al
tempo dell’amore, da personificare quando le luci oggettivamente si spengono.
L’uomo incanta fortissimamente, e cioè attualmente, essendo
stato spremuto dalle illusioni, consapevole però di certi momenti che
torneranno affinché ci si possa muovere rinfrescando così delle buone nuove dal
principio.
Secondo Marcantoni il genere umano attende una svolta privo
di uno slancio emotivo, un po’ come a volere osservare degl’insetti intenti a
stabilirsi in un determinata collocazione con una fragilità comprovabile.
Eppure Gianni dichiara che non intende fermarsi ancor prima
di realizzare qualcosa, alludendo alla sorte purché essa accenni un volo in
conclusione, in un tempo svanito nel suo animo senza poi riapparire, deliziando
e misurando così uno e più lati oscuri.
Il maltempo risulta mostruoso, bucato da tenebre in
movimento, profonde, ciononostante la linea tra l’aldilà e l’aldiquà non smette
d’incantare, seducendo il poeta che la desidererebbe da perfetto egoista,
imprigionata nelle stesse condizioni di un tenero volatile, in un valore
assoluto.
La percezione viene meno essendo curiosi di sapere come si
generi un effetto sonoro, talmente moderno da sollevare quest’umanità che si
deve ritenere immortale, ma assoggettata a degl’indizi marcabili da strumenti
perlopiù inaccessibili.
A dire il vero la desolazione è lacrimosa, arreca splendore
alle anime che si distaccano definitivamente da corpi in attesa di veritieri
accecamenti, quelli che schiariscono alti e bassi d’umore svalutando persino i
raggi solari.
Il tacere è proporzionato all’unica testimonianza di vita
atta a disgregare principalmente gli esponenti di cotanto mistero che
Marcantoni armonizza con parole imbattibili, che accolgono l’autore stesso a
tal punto da scorgere serenamente la fine di una vita.
Siamo forse senza una divinità da pregare, e quindi pronti a
inabissarci dentro le illusioni, socchiusi i rubinetti alle fonti di vita, dove
si va a rinfrescarsi una volta finito di giocare a stabilire un vincitore e un
perdente, assistendo al tempo che scorre.
Un fare notturno, anonimo, circonda l’esistenza, e la
solitudine avanza tra boccioli di sentimenti da sfiorare, possedendo
ambiguamente il senso del tatto, a cui si accede sfidandoci ripetutamente a una
caccia al tesoro.
L’illuminazione più incomprensibile viene segnata difatti
dal più semplice gesto d’affetto, con la fine di un giorno che così meraviglia
tracciando vie pericolose, intensificando soluzioni penetranti, resistenti al
tempo.
Dopo si aggiunge l’umanità, il fatto di sedare gl’istinti
ogni volta quantomeno per tutelare ciò che di solito sappiamo offrire,
accerchiando una sorta di principio d’allarme come a far festa e riflettere
infine sulle morti altrui.
Traspare la perduranza di un’asprezza gocciolante sul genere
umano, ricorre della struggente rigidità alla lettura di questi versi come a
stimare l’anonimato di svariati soggetti infranti.
“Basta un silenzio a
risvegliare queste effimere danze, basta questo passo per dimenticare da quale
direzione io sia arrivato, e per conto di chi altro me ne andrò”.
Colui che scrive qui sembra durare spaziando appieno in un
respiro che manca, riaccendendo mute osservazioni al cospetto di parole
spodestate dalla loro stessa visibilità.
Nel frattempo, pian piano ogni strumento diventa un fremito,
un fare sistematico accerchiato dalla natura saggia, fittamente riconducibile a
dei peccati oramai ininfluenti.
Per risolvere dei problemi occorre andare oltre, in un luogo
incredibile, sospinti da una ragione sovrumana per intendere la morte e
alleviarla.
La speranza incornicia l’inimmaginabile, l’idea di
sconvolgere con viva ingenuità un gigante sbrogliandogli le viscere.
“Un terrore ci
possiede da troppi secoli fin da dentro le oscure caverne, e le tue sicurezze a
poco sono bastate in tutto questo tempo per farci esistere davvero come uomini.
Ma forse l'uomo guardando in alto - sempre perduto in sé stesso ha solo sentito
l'eco della propria voce, e non invero il sole, non i sentieri finiti in un
fuoco mancino, non i continui passi che hanno invertito rotta, tornando alle
mezze facce delle ampolle, seppellite fra la neve-lingue-rudimentali, e sciolte
in una fiala di raggelato succo esistenziale”.
Il terrorismo divampa in noi da tempo immemore; quindi è
probabile che l’umanità creandosi grandi aspettative non abbia fatto altro che
accusare un senso di vuoto, tale da rimanere incantata dal riverbero di
richieste che non provengono mai dall’esterno, con un vanto pari alla
possibilità di spegnere la più naturale delle fonti d’energia.
Si percepisce l’intento di comporre parole, silenziosamente,
in modo puramente manuale, determinando così un peso, e specie sugli affetti,
per niente passeggeri né falsificabili e tantomeno portatori di seduzione; al
tramonto di un vissuto ch’eleva la sensazione di far tutto tranne che
rumoreggiare.
Il mondo, sputtanato, centra appieno i cuori della gente,
ossia di tutti quelli che di solito necessitano di scegliere l’insieme da
supportare senza suscitare la benché minima rivoluzione… effettivamente a forza
di discutere sul destino del pianeta Terra ci stiamo oscurando, d’illuminante
resta l’inasprimento della normalità che per giunta manca di compattezza.
“Ma nulla regna per
l’uomo che tanto ama salvarsi…”.
Indumenti consumati si pensa quasi di punire alla fine di un
vissuto, mentre delle aspettative vengono ingoiate con un’angoscia tale da
respirare mantenendo gli occhi aperti all’etereo disperso a causa di un pianeta
che non ci risparmia la memoria, in mancanza di attività colmanti gli attimi
all’anima; non concependo i misteri del buongusto, essendo conficcati magari in
residenze oscure dacché momentanee.
Marcantoni predilige la verità poetando argomentazioni senza
la pretesa dell’immortalità, in un volo quindi limitato dalla realtà e i suoi
strumenti di cessazione propria… ben lungi da un termine di possesso: una
dichiarazione da fare magari distaccandosi dall’immaginario, specie se
quest’ultimo pulsa per lo sguardo da ricambiare con l’amore che spesso e
volentieri si percepisce nell’assenza di chi ci sta a cuore.
Ecco che spesso e volentieri provando amore cogliamo
ingiustizie fuori dal comune…!
Si sta da soli per un briciolo di tempo che può impadronirsi
spiritualmente di un essere umano sequestrandolo, costringendolo a scrutare
l’incolta immaterialità.
Sta di fatto che il poeta si esprime, che la sensibilità
conta maggiormente quando qualcosa c’intimorisce. La purezza si manifesta
appieno per spirito d’unione.
Una massa popolare strabordante ma che teme di rifiorire non
riesce a respirare a pieni polmoni in effetti, e cioè in mancanza d’ideali.
Ci si rassegna a mirare il destino che, alquanto precario,
fuoriesce mestamente dopo averlo intascato mortalmente, dimorando in una forma
di tacito abbandonamento.
“E tu uomo di bassa
statura i versi non ti alzeranno, tu uomo di alta statura, i versi non ti
piegheranno. Possono solo condannarti talvolta, quando come chiodi entrano
nella testa e impediscono il movimento delle labbra; allora sarai nel paesaggio
infinito, sarai allora morto per colpa dei versi che ti avranno tradito”.
Con la poesia secondo Marcantoni si accede alla svalutazione
di soggetti protesi alla morte, come a spaziare in un colpo d’occhio,
ciecamente. I sentimenti vengono calati in una condizione di panico puro, a
conferma che la quiete si è tramutata globalmente in uno storico malessere.
La percezione olfattiva si allarga a seguito di
mostriciattoli aventi talmente sete da avvelenarsi, privi di destinazione.
Una terminologia affettiva si esaurirebbe da sé alla luce di
un nuovo giorno, legnosa e ubriacante, e difatti la memoria s’intensifica
evidenziando leggerissime lesioni su forme sporcate di quiete.
Rimangono cose inculcate, oscure a primo impatto, che inducono
agli stati di fermo la meraviglia tendente alla fisicità dell’individuo da
immortalare.
La pubblicazione di piccole storie private accentua il
principio d’assenza, che si sviluppa contribuendo all’aria che tira, che si
stanca.
Il tempo dunque va ammazzato esclusivamente in chiave
letteraria, riaprendo la voglia di vivere alle persone prossime alla cecità, a
degl’involucri d’eternità.
Ogni cosa si pone sullo stesso piano, sinceramente occorre
pazientare per mutare in positivo, e oggettivamente poco importa farsi sentire.
Successivamente ai corsi storici, del tutto personali, nulla
più si delinea per degli amori acclarati, trafitti da schegge evidenti,
derivanti da contenitori preziosamente ambigui.
Il poeta ingoia qualsiasi aspetto dell’amore che può provare
per una persona, eccetto quella voglia di contemplare il panorama mondiale, che
va riqualificata, più forte del riserbo.
Niente si oscura come l’umanità sul punto d’amare, col vuoto
che avanza sporcando indumenti a prova di sentimento.
“Ma cosa hai costruito
nel tuo tempo? E quanto ci hai messo? Era davvero così indispensabile tutto
questo? La vita è fatta soprattutto di cose inutili, di meccaniche, e di
ritorni, ed è quanto tu non mi avevi detto (né io te lo avevo mai fatto capire)”.
Un insieme di suoni inonda un corpo estraneo se con
l’emotività non si concepiscono frantumazioni, le diversità che si accentuano
con un fare crudele, estremo.
Un amore circola nel poeta, inesauribile, ma è con la
reciprocità che si apre alla spontaneità dei gesti, alla quale si può
rinunciare, preferendo l’oscurità che l’immenso opportunismo alimenta.
La natura viene inquinata di continuo, e, imperturbabile,
riproduce delle colpe per esistenze da insaporire piangendoci sopra, sul serio,
senza far rumore.
L’armonia appartiene alle idee che cambiano evidentemente,
come a voler prendere in giro l’anima, con quella solenne quiete successiva
alle tempeste. Il silenzio rappresenta volgari intrighi, inducendo
personalmente a proiettare il pensiero sugli sviluppi di ogni singolo respiro…
la più deplorevole delle azioni!
In effetti veniamo a mancare sul serio una volta che le
illusioni diventano realtà inequivocabili, scatenando guerre di un desiderio
improponibile, come quello di perdurare in eterno.
La vita si conclude in una maniera del tutto convincente,
sublime, a dimostrazione di come l’integrazione terrena non presupponga la
considerazione dell’essere.
“Tutto è stato
stemperato nell'avanzo carpito dal seme di una betulla nata dai sospiri del
mondo, quel mondo che amava ascoltare i racconti fantasiosi dei pellegrini di
una volta, dei cavalieri morti sulle strade del sale. Ma non restano ormai più
ore da centellinare, così giriamo solitari, simili a due fiumi che combattono
ogni giorno per arrivare al mare, che navigheranno le rotte infuocate di un
sogno essenziale, prosciugato in un giaciglio colmo di consuetudini momentanee”.
Il tormento spirituale si riferisce alla carenza di senso
per scalare asperità ragionevoli, che si definiscono maggiormente col passare
del tempo.
La sincerità, alquanto residuale, prova qui a riformarsi
senza far rumore, mentre giochi di luce peccano per principio.
Il corso degli eventi non appartiene alla memoria, e
rafforza aspettative nel fisico da erigere per dei confronti che si sviluppano
fino ad augurare di confermarli seppur in maniera precaria.
“E sono troppe le vite
tormentate, troppe le vite naufragate, disintegrate, occultate nelle isolate
galere; riprendiamo allora il nostro scettro, il mondo era nostro - nostro fin
da dentro al grembo materno. E non ancora un canto spaesato, non ancora una
maglietta indelebile con i nostri eroi stampati tra le glorie, o questa
ridicola platea sbilenca sopra cui il falso uomo astuto è annegato!”.
Tecnicamente, passione e competenza poetica sortiscono
l’energia ritmica alla forma del testo, rigorosa e raffinata, mentre
l’ambizione la si rileva da una ricerca a ritroso, che si rivela a tratti di
una lezione da dare.
Il pensiero sembra proprio dominare la complessità
espositiva, cosicché permane la parola letteraria. L’amarezza intimistica è di
una scrittura gergale, si rilassa specialmente tra i versi dei poemetti, come a
pregustare una discesa negli abissi mentali.
La costruzione della struttura è dura, cupa, carica di
tensione, come se ci volesse a tal proposito una fisicità intrisa di sacralità.
V’è un dire poetico che non ammette finzioni, secondo un
autore garbato e malinconico, solito agli attraversamenti esistenziali,
inseguito da una verità, un’illuminazione più forte di ogni altra, incalzante.
Un emblematico coacervo di rifiuti sulla presenza umana
corrode l’emozione.
Il lettore ha modo di appropriarsi del valore profondo della
parola, come un nutrimento da curare e controllare, col ron ron esistenziale,
un elemento necessario per cogliere flash d’ispirazione e far scattare delle
occasioni.
Leggendo è come se ti ritrovassi incagliato tra sentimenti
profondi e ragioni inconfessabili, tra storie e destini che chiedono d’essere
ascoltati, grazie a un autore che mantiene una coerenza con grande lirismo, essendo
questi lento e avvolgente, e assumendo un tono intimo, malinconico, dolente… ma
anche fiero e arrabbiato.
Il poeta dosa bene follie e malinconie in una data
ambientazione, segno di come s’impara a dare il giusto peso alle parole… versi
dunque d’impianto teatrale, evocativi come un’opera d’arte, di contorsione
avanguardistica.
Testo teso, che non dà tregua ai significati di cui n’è
denso, privi di compiacimento… mai banale.
Qui non si cade nei sentimentalismi, alla luce di una
calibrata misura dei versi, in funzione catartica e salvifica, e quindi di
sottigliezze psicologiche, a fronte di un universo cupo, claustrofobico (ma
molto introspettivo)… addirittura sembra che si possano appurare dei diorami
assemblati per far capire a cosa si va incontro.
Dalla cura del dettaglio linguistico e poetico si determina
la presa di posizione su temi certi.
·
Gianni Marcantoni, classe 1975, nasce nelle
Marche a S. Benedetto del Tronto, e vive a Cupra Marittima.
È laureato in Giurisprudenza e ha un
impiego.
Scrive versi dal 1991 ma inizia a
pubblicare nel 2008 su alcuni siti internet dedicati alla poesia.
Tra il 2010 e il 2013 delle sue liriche
vengono selezionate all'interno di alcune antologie edite da Aletti, e in
quella dei Poeti contemporanei – 73 (Pagine Ed.).
Ottiene il Primo premio al Concorso letterario
Int.le “Versi d'Agosto” di Vallefiorita (CZ), sia nel 2014 con la poesia
singola “È la notte la sua cupola” che nel 2017 con la silloge edita “Orario di
visita”.
Tra il 2015 e il 2018 si aggiudica diversi
premi e menzioni, per la sezione Volume Edito, in vari concorsi letterari
nazionali e internazionali (“Giovane Holden”, “Corona”, ” Sellion”, “S. Maria in
Castello-Vecchiano”, “Leandro Polverini”, “Gaetano Cingari”, “Giovanni Pascoli
– L'Ora di Barga”, “La Pania”, “Gadda”, “Visconti”, “Il Sabato del Villaggio”).
Due poesie sono state pubblicate nel blog “Poesia”
di Luigia Sorrentino (RaiNews).
Altre pubblicazioni appaiono su "Poesiaultracontemporanea"
nonché in vari cataloghi d'arte.
Le sue raccolte sono: “Al tempo della poesia”
(2011, Aletti), “La parete viva” (2011, Aletti), “In dirittura” (2013,
Vertigo), “Poesie di un giorno nullo” (2015, Vertigo), “Orario di visita”
(2016, Schena) e “Ammessi al paesaggio” (2019, Calibano).
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