Donne che portano i pantaloni: pronte a salire al Passo del Diavolo (Adamello), per commemorare un amico. (1922) |
Il
4 ottobre 2018, al Teatro Civico “M. Bortolozzi” di Manerbio, ha avuto luogo
uno degli incontri firmati dal Comune, dal Gruppo Alpini e dal Club Alpino
Italiano e intitolati: “La Grande Guerra: cento anni dalla fine del primo
conflitto mondiale”. Il programma degli eventi cominciava dal 12 settembre e
terminava l’11 novembre 2018.
La serata del 4 ottobre era dedicata
a: “Il ruolo delle donne nella Prima Guerra Mondiale” ed era tenuto dal dott.
Fabrizio Bonera. Il relatore ha trattato del lato privato e affettivo dell’argomento:
quello documentato da lettere e diari. Particolarmente interessante era però
una fotografia del 1922: un gruppo di ragazze pronte a salire al Passo del
Diavolo (Adamello), per commemorare un amico morto nel conflitto. Ciò che
colpisce è il fatto che portino i pantaloni: cosa nient’affatto comune,
all’epoca. Lo stesso fatto di camminare a lungo fuori di casa poteva essere un
atto “rivoluzionario”, per una donna. Ciò non suona strano, se si pensa alle
tre “K” di un detto tedesco sul ruolo femminile: Küche (= cucina), Kinder (= bambini), Kirche (= chiesa). Niente che comprenda la guerra o l’alpinismo,
insomma.
Il primo conflitto mondiale fu però
un evento di tale portata da scardinare anche i ruoli di genere - non solo per
le aristocratiche e le alte borghesi istruite e politicizzate. La durata della
guerra e l’impiego degli uomini al fronte fece sì che scarseggiasse manodopera
maschile per gli apparati dello Stato e per le altre professioni. Le donne
dovettero cavarsela da sole, facendo anche “lavori da uomini”, come fabbricare
artiglieria pesante. La necessità di andare in fabbrica e il salario (sia pur
modesto) che percepivano le rese più libere di spostarsi e fare acquisti.
Le donne erano anche infermiere: sia
borghesi che popolane, anche se le prime si occupavano degli ufficiali, le
seconde della truppa. Il loro ruolo era sostenuto dalla propaganda statale
sull’ “onore della patria”. Nelle lettere delle infermiere, spicca il senso di
partecipazione a un’opera più grande della propria singola persona, nel nome
del dovere comune. All’opera di alfabetizzazione parteciparono invece le
maestre.
Dott. Fabrizio Bonera |
Che trasportassero pane, munizioni o
materiale edilizio, le portatrici si servivano della gerla (una cesta da
portare sulla schiena) o la bastina: sorta di cappuccio imbottito di paglia. Il
carico pesava dai 30 ai 50 kg e veniva sorretto per un cammino di almeno cinque
ore. La paga era misera; dovendosi poi esporre allo scoperto, le portatrici
correvano gli stessi rischi dei soldati. Nonostante questo, molte di loro si
arruolarono volontariamente, anche mentendo sull’età, pur di farsi accettare.
Non
mancò sdegno moralista, soprattutto da parte di membri del clero, per questa
“promiscuità dei sessi”. Ma i parroci che predicavano contro una manodopera
tanto utile venivano processati nei tribunali militari.
Dopo la fine della Prima Guerra
Mondiale, le donne dovettero tornare a riprendere il ruolo domestico. Ma la
consapevolezza di poter fare ogni cosa “come gli uomini” rimase…
Pubblicato su Paese Mio
Manerbio, N. 138 (novembre 2018), p. 16.
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