Le fiabe tradizionali sono coinvolgenti e significative di per sé, senza bisogno
di “adattamenti”. Ma ciò non significa che non possano essere raccontate in
modi e contesti sempre diversi: anzi, in questo consiste la loro vitalità. Ecco
che la celeberrima Cappuccetto Rosso è diventata Capuche: un breve spettacolo di e con Gioia Zanaboni. La sua particolarità più evidente sono gli
inserti di funambolismo su corda molle. A Manerbio, è stato messo in scena il
21 settembre 2018, alla vigilia della Notte delle Fiabe dedicata interamente a
quel personaggio. L’iniziativa è stata sostenuta dall’associazione “Donne
Oltre”, nonché dal Comune e dalla Biblioteca Civica. Il “teatro” era l’Area
feste di via Duca d’Aosta.
Il
titolo francese è un omaggio a Marsiglia, la città dove risiede Gioia Zanaboni.
Ma i personaggi erano italiani: la mamma, Capuche e la nonna napoletane, il
lupo romano e il cacciatore toscano. Per presentare i cinque personaggi che
avrebbe interpretato da sola, Gioia ha appeso alla fune e a un attaccapanni i
loro vestiti e li ha “animati” come burattini, interpretandone i muti discorsi
per il pubblico. Un modo per mostrare la “magia” del teatro, che rende le ombre
vive e presenti. Non è stato facile indossare i vivaci panni della mamma: una
casalinga bruna, piacente e tutta pepe. Il suo cruccio? Ovviamente, la figlia
adolescente: Capuche. Allo studio preferisce la chitarra; non risponde mai
quando viene chiamata; ripudia gli abiti “femminili” per un’amatissima felpa
rossa con cappuccio. Chiusa nei panni di “maschiaccio”, la ragazzina rimugina
il rancore verso la madre senza mai sputarlo veramente. Quando le viene imposto
di recarsi dalla nonna facendo un lungo giro in autobus, lei ha il primo vero
scatto di ribellione: prende la scorciatoia del bosco. Qui, ovviamente, la
attende il lupo: un malvivente rozzo, ma capace di lusingarla con complimenti
alla sua bellezza e mostrandosi solidale coi suoi problemi. Capuche cammina
letteralmente sulle nuvole, ammaliata dal bel tenebroso (e, un po’, anche dallo
spinello gigantesco che lui le ha offerto). Il suo smarrimento dà il tempo al
delinquente di raggiungere la casa della simpaticissima nonna e di accoltellare
la vecchietta alle spalle. Perché lo fa? «I lupi si comportano così: vogliono
sapere quali siano le persone più importanti della tua vita, per creare il
vuoto intorno a te… Così, quando non avrai più nessuno, vedrai il lupo come il
tuo unico salvatore» ha spiegato Gioia.
Capuche, come previsto, arriva alla
casa della nonna. Si rende conto che c’è qualcosa di strano: tutto quel
silenzio non è da lei… Ma, ovviamente, si lascia ingannare dal lupo travestito.
Il quale non ha fatto i conti con Gino, il cacciatore toscano: panciuto, un po’
burbero, ma di buon cuore. Conosce bene quel genere di belva e non si fa
ingannare: corre subito a salvare la “bimba”. Lo spettacolo finisce con Capuche
scarmigliata, silenziosa, ormai priva della sua felpa rossa. In silenzio,
raccoglie la fisarmonica dell’amata nonna e comincia a suonarla, al posto della
chitarra. L’esperienza traumatica l’ha cambiata: era una ragazzina, ora è donna.
Crescere può essere doloroso oppure no, ha detto Gioia. Ma, anche quando fa
soffrire, «la storia non
sempre finisce col dolore».
Paese Mio Manerbio, N. 137 (ottobre
2018), p. 18.
Commenti
Posta un commento
Si avvisano i gentili lettori che (come è ovvio) non verranno approvati commenti scurrili, offese dirette, incitazioni all'odio di qualunque tipo, messaggi che violino la privacy o ledano l'onore di terzi. Si prega di considerare questo blog come uno spazio di confronto, così come è stato fatto finora, e non come uno "sfogatoio". Ci scusiamo per eventuali ritardi nella pubblicazione dei commenti: cause (tecnologiche) di forza maggiore. Grazie.