Padre Danilo Salezze |
"Dipendenza
patologica”: un problema di pochi, da isolare e “aggiustare”? Questo quadro è
semplicistico. L’ha mostrato l’incontro con padre Danilo Salezze. Quest’ultimo
è il responsabile della Comunità San Francesco di Monselice (Padova), nonché
servitore insegnante dei C.A.T. (Club Alcolisti in Trattamento). Un’A.C.A.T.
(Associazione dei suddetti Club) è presente anche a Manerbio. I C.A.T. si
ispirano al metodo Hudolin, così denominato dallo psichiatra Vladimir Hudolin (Ogulin,
Croazia, 1922-1996). Il suo metodo ricerca le radici della dipendenza nello
stile di vita, negli schemi culturali e nei disagi sociali o esistenziali che
l’hanno causata. Ecco dunque che, nei C.A.T., si radunano non pochi alcolisti,
ma anche le loro famiglie, globalmente impegnate nel mutare stile di vita.
Padre Salezze ha ricordato altresì che la dipendenza non è da intendersi solo
come alcolismo, ma anche come ludopatia, tabagismo, tossicodipendenza e tutte le altre varianti. Tale è stato l’argomento della serata: Stili di vita sani
per una spiritualità veramente umana. Essa si è tenuta al Teatro Civico “M.
Bortolozzi” di Manerbio, il 18 settembre 2018. È stata organizzata
dall’A.C.A.T. locale, insieme all’Ordine Francescano Secolare, alle ACLI, a
Gocce di Solidarietà, a Game Over e alla Caritas Parrocchiale, col patrocinio
del Comune di Manerbio. Durante l’incontro, Padre Salezze ha definito la
spiritualità come il bisogno di entrare in dialogo globalmente con la realtà.
Essa è quindi capacità di creare la cultura e i legami che rendono possibile
l’esistenza di comunità. Anche le dipendenze nascono in seno a una rete di
rapporti (con persone e cose): è su quelli che bisogna intervenire, passando
dall’astinenza forzata a una matura e consapevole sobrietà. Le famiglie che si
radunano nei C.A.T. desiderano passare da uno stato di “incantamento” a uno di
“competenza”, capacità di scegliere e regolare i propri consumi in modo
consapevole. Non è solo un fatto di legalità delle sostanze. Padre Salezze ha
sottolineato l’alta mortalità per fumo (di sigaretta), nonché la diffusione
dell’obesità causata dall’eccesso di zucchero, sale e farina. A rendere
velenoso o letale qualcosa di assolutamente “normale” è l’incapacità di modificarne
o metterne in discussione l’uso. Centrale è dunque la suddetta “spiritualità”,
ovvero l’abilità di gestire fattori “immateriali”: l’autocontrollo,
l’indipendenza psicologica, la competenza. Per chi segue il metodo Hudolin, è
evidente quanto sia importante non nascondere i problemi. Non serve a niente
illudersi che la disabilità, l’anzianità, la fragilità non esistano. Padre
Salezze ha citato anche fattori apparentemente irrilevanti, come la cultura
della festa: perché, per stare allegri, deve per forza essere presente l’alcol?
A questo punto, è stata necessaria anche una discussione sull’episodio
evangelico delle nozze di Cana, in cui la gioia sembra essere dipendente dal
vino. Padre Salezze ha ricondotto ciò alla rarità e alla preziosità dei momenti
di festa, in una comunità che non annegava certo nell’abbondanza; ma ha
ricordato che il centro dell’episodio è Cristo come portatore di gioia e senso
della vita, non il vino in sé (che era
semplice acqua trasmutata). Perché questo era il punto del discorso: le
dipendenze patologiche non sono “malattie” (intese come danni fisiologici o
batteriologici), ma vuoti di senso esistenziale. Ci si attacca alla bottiglia,
alla sigaretta o a quant’altro per sostituire qualcosa di meno raggiungibile.
Perlopiù, il “qualcosa” è un rapporto d’amore con l’esistente. Qualcosa che può
venir meno a chiunque.
Paese Mio Manerbio, N. 137 (ottobre
2018), p. 20.
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