Passa ai contenuti principali

Vincenzo Calò intervista Bruno Mohorovich

Nato a Buenos Aires il 3/3/1953, figlio di genitori istriani, riparati in Argentina a seguito dell’esodo, attualmente vive a Perugia. 
bruno mohorovich intervista
Laureato in Sociologia e Lettere, si è sempre occupato di critica cinematografica e didattica del cinema nella scuola; ha collaborato come critico con il settimanale diocesano “La Voce” e con “Umbria Radio” (ex “Radio Augusta Perusia”).
Si occupa anche di didattica della televisione.
Presso la Biblioteca di Villa Urbani, Bruno Mohorovich fa parte del gruppo di autoscrittura “Tempo per sé” con il quale ha curato eventi di scrittura e pittura.
Critico d’arte, ha organizzato alcune collettive con artisti marchigiani e umbri.
Cura eventi letterari (“Aperitivo letterario”), presentazioni di poeti e scrittori e organizza collettive di pittura (“La città tra desiderio e utopia”, 2015 Perugia; “Punti di vista”, 2017 Spello) e fotografia (“Tramonti”, 2018 Passignano sul Trasimeno; “Assolo” 2018 Perugia; “Le Valentine”, 2018 Terni) e con giornali web (“pressitalia.net”; “umbriaecultura.it”.)
Bruno Mohorovich, nel 2015 ha diretto il corto sul XX Canto dell’Inferno della “Commedia” di Dante, nell’ambito delle celebrazioni per la nascita del sommo poeta, promosso dalla Loescher Editrice e dall’Accademia della Crusca ottenendo il Primo premio ex equo alla Fiera Internazionale del libro di Torino; l’opera è stata realizzata con gli studenti del CLA (Centro Linguistico Ateneo – Università agli Studi di Perugia.)
Ha curato la pubblicazione “Saulo Scopa – fotografie e cortometraggi 1998 – 2008”, per le edizioni AIART – Associazione Spettatori “Cinema in… – 3 voll.”.
Ha pubblicato per Era Nuova “Nuovo Cinema… scuola”, e per i tipi della Bertoni Editore i libri di poesie “Storia d’amore – una fantasia” e “Tempo al tempo”.
Le sue ultime pubblicazioni le ha dedicate alla città di Perugia (“La città tra desiderio e utopia”), e a Pesaro con la raccolta di scritti “Atarcont – impressioni pesaresi”.
Ha conseguito il secondo premio al Concorso Internazionale di Poesia Sacra “Santa Chiara della Croce” a Montefalco (PG); ha ricevuto la Segnalazione della Giuria al Concorso Nazionale “Rina Gatti” per il racconto “Carta straccia”.
Al Nono Concorso Nazionale “Poesia d’amore”, promosso da ALI – Penna d’autore, Bruno Mohorovich è risultato semifinalista conseguendo la Menzione Speciale.
Attualmente sta curando un’antologia di poesie “Marche in versi”, e una collana di poesie per conto della Bertoni Editore.

Caro Bruno Mohorovich, la pazienza paga in ogni circostanza?
Potrei dire con un luogo comune che il mondo non è stato fatto in un giorno. Normalmente sono un tipo paziente. Se la domanda è riferita alla mia scrittura, allora posso dire che prima di ricominciare a scrivere sono passati parecchi anni… poi, un giorno è arrivato il desiderio di confrontarmi con altri, un gruppo di scrittura per la precisione… da qui è nata l'esigenza per me di sapere per me stesso se valeva la pena che continuassi a scrivere. Volevo un sì o un no. Poi, l'attività del gruppo, gli esercizi di scrittura (era soprattutto prosa autobiografica) mi hanno fatto ritrovare qualcosa che pensavo d'aver perduto: la poesia. Alla luce di questa mia esperienza potrei dire che la pazienza paga, anche se negli accadimenti della vita non sempre è così.
Ti senti d’aver indossato o spogliato delle esperienze di vita?
Non ho dubbi: mi sono spogliato di me stesso vivendo esperienze che mi hanno fatto soffrire e crescere, ma questo quando soffri non lo comprendi subito. Certamente quello che ho vissuto mi ha permesso di confrontarmi (ritorna il verbo "confrontare") con me stesso, di guardarmi allo specchio e scavare dentro di me; ma mi ha anche consentito di entrare anche in relazione con altri, di vedere le loro vite in rapporto alla mia e di (ri)costruire la mia di vita, reimpossessandomi di quello che ero e che avevo perso. Niente e nessuno ti restituisce il tempo perduto; si può solo ottimizzare il qui ed ora nella prospettiva di un futuro. Ed è quello che sto facendo. E credo di riuscirci abbastanza bene. Non sono presuntuoso ma consapevole del percorso che ho fatto e che devo ancora compiere; gli errori del passato sono un'esperienza indelebile.
Si può stare bene senza dare retta alla salute?
No! Decisamente no. Se non avessi la salute, non potrei fare quello che faccio, cioè scrivere. Io, oltre alle poesie, scrivo anche prefazioni per altri autori per conto della mia casa editrice, recensioni di artisti e altro ancora. La mancanza di salute non mi permetterebbe di fare ciò; mancanza di salute vuol dire rinchiudersi in sé, cercare eventualmente delle risposte per sé. Mancanza di salute implica sofferenza, la quale sofferenza ha un grande "vantaggio": riesci a cogliere l'inutilità di un certo modo di vivere, dai importanza alle piccole cose, quelle piccole cose (un vaso di fiori in terrazza, un soprammobile) che appartengono alla tua quotidianità e che fino a quel momento vivevi come scontate. E' questo l'assurdo - o la forza - della sofferenza: ci costringe a pensare e vedere diversamente, e a dare il giusto valore alle cose. Senza salute, inoltre, non ci sarebbe possibilità di guardare al mondo circostante - artistico o no -, perché non ci sarebbe visione; subentrerebbe una cecità intellettuale e morale che distorcerebbe la realtà... a patto di riuscire a coglierla. Sarà retorica fin che si vuole, ma quel "mens sana in corpore sano" cela una grandissima verità.
Provi piacere a leggerti? E se sì, in quale situazione?
Devo dire di sì, mi rileggo volentieri, anche se sono molto critico nei miei confronti.  Lo faccio anche per rivedere eventuali certi "errori" che non vorrei commettere. Ci sono volte in cui mi compiaccio di quello che ho scritto, della combinazione aggettivo/nome o della scelta di una metafora particolare... non c'è una situazione particolare... magari la sera rivedendo i miei lavori li ripercorro e così... oppure quando faccio dei reading di poesia... ma prevale in questo caso la preoccupazione di quanto ho letto: se è arrivato quello che volevo dire...
In che consiste il successo poetando? Arriveranno i giovani d’oggi a comprenderlo?
Parlare di successo mi sembra eccessivo. Direi piuttosto che vedere riconosciuto il proprio lavoro da parte di un editore illuminato e che pubblica non a pagamento - quando ci sono molte case editrici che rifiutano di pubblicare poesie, perché secondo un passaparola discutibile "la poesia non si vende, si regala", o se lo fanno bisogna sborsare non poco - sia già motivo di successo. Se poi attorno al libro si crea un'aura positiva e questo vende, allora si può ritenere d'aver raggiunto un ottimo risultato. Io mi auguro che i giovani si avvicinino sempre più alla poesia; ahimè, la scuola certo non aiuta (non s’imparano più le poesie a memoria e credo che si affronti poco il suo studio - eccezion fatta per i soliti noti imposti dal programma). Nella mia esperienza di curatore di collana, vedo che sono molti i manoscritti di giovani, anche alla prima esperienza, che mi giungono. Ovviamente c'è molto da scremare, ma ritengo positivo che molti ritrovino nella poesia il senso della vita e uno scopo al loro vivere. E invito loro a continuare a scrivere; anche se non sembra, in giro c'è tanta voglia di poesia. Chi frequenta i social se ne rende conto, ci sono tantissimi gruppi e tantissimi concorsi. Questo può essere uno stimolo, ma non si aspettino chissà quali allori; vedersi riconosciuto e pubblicato il loro lavoro è già un successo.
Viaggiare significa passare irrimediabilmente da un posto diverso all’altro?
Che domanda... proprio a me che ho viaggiato tutta la vita, che non ho mai finito una scuola nello stesso posto... e che ho sempre dovuto ricominciare da capo! Ho attraversato molte città. Senza che nessuna mi appartenesse veramente. Solo nidi che ho sempre dovuto abbandonare. In qualcuno vi sono ritornato a distanza di tempo, altri appartengono alla mia memoria e mi appaiono così come li ho lasciati, avvolti nel loro alone di fanciullesca allegria e vegliarda nostalgia. Non ho mai potuto dire “Sono di... ”, ma sempre “Vivo a... ” o “Vengo da... ”. Tutti i cambiamenti, gli spostamenti cui sono stato costretto legati al lavoro di mio padre, pur nel disagio hanno contribuito a farmi maturare prima, a vedere prima di altri le cose, un'apertura mentale che mi è anche costata sul piano relazionale ma che poi si è rivelata vincente, almeno nella mia esperienza. Va da sé che le mie origini istriane - una terra di cui non ho mai potuto godere per le note vicende storiche - me le porto dentro. Ho dovuto rinunciare a qualcosa, forse a molte cose in primis alle tradizioni, ma in questo la memoria mi è compagna. Se vediamo la questione del viaggio sotto il profilo letterario, credo che la penna sia un ottimo mezzo di trasporto per… la mente.
È da pettegoli oramai procurarsi delle novità per davvero?
tempo al tempo bruno mohorovich poesieViviamo un tempo in cui la novità è una merce rara. Occorre essere bravi e avere molte intuizioni nel cercare di fare qualcosa di nuovo. Al contempo mi domando se esiste veramente qualcosa di nuovo visto che quando si scrive (o si parla) i temi affrontati sono sempre quelli universali: l'amore, l'amicizia, il tradimento, la disillusione… cambia il modo di narrarli, perché l'uomo cambia - se cambia - a seconda del tempo che vive.
Se il sole muore?
... L'aquila non vi si potrà più avvicinare... e forse ci sarà una nuova aquila che andrà incontro al buio. 
 
Eccoci con un poeta che cerca di rasserenare il tempo trascorso, assistendo all’abbandonamento di frammenti d’etereo nel nulla, legando la libertà terrena con tutto ciò che traspare, di liquidabile.
Mohorovich sonda l’ultima possibilità, con tutte le debolezze del caso, per smaltire il senso dell’udito e depurarsi lo spirito, alla ricerca semmai di quella dote armonica nella bellezza di un essere da sogno, come lo ha fatto notare perfino il pittore Stefano Chiacchella, autore delle tavole che accompagnano questa raccolta di versi.
Tra i versi pulsa la straordinarietà dell’umano contatto in sospeso, l’appuramento di errori commessi non riuscendo a muoversi da sé; con l’illusione di stare nel giusto anche cadendo, lungi volutamente dalla solidarietà, procedendo cioè lungo una via senza luce e non accorgendosi poi di aver raggiunto questa luce, sopravanzato l’inaudito che dà un senso all’idea di respirare, soffrendo.
“Mi tengo stretto
il sollievo dell'oscurità,
l'unico che mi rimanda
quest'amore di polvere
che inalo fino a stordirmi
e che trattengo
sino a quando non espiro la visione
della tua reale essenza”.
 
Una deliziosa massa di parole mai confermate Mohorovich afferma d’aver riportato su carta straccia, come se fosse stressante dipendere dall’istinto, pur propensi a teorizzare sulla lotta contro i propri demoni, giacché la linea che separa l’aldiquà dall’aldilà egli la osserva fino a esaurirsi l’anima.
La poetica in esclusiva avanza sciolta su pagine improvvisate e arroganti, tra le ore notturne che assillano allo scoccare non dando modo di dormire a dei sentimenti costretti dunque a raggelarsi, dovendo così pregare che un satellite si accenda tutt’a un tratto, per sortire l’impressione di stare ad amare la vita, invece d’interpretare desolatamente dei risentimenti; con l’atmosfera a pretendere il risveglio dell’umanità che a sua volta s’imbarazza per le illusioni manifestate in uno e più respiri, questi ultimi soffocati dagli eventi. 
È nel rasserenamento di una sua volontà, frastornata dapprima da un energico mutismo, che Bruno si libera delle angosce; pur con la presunzione a intendere spiccatamente, che gli permette di accettare certe richieste, specie lungo vie oscurissime ma necessarie per riaprire alla grande la mente alle emozioni.
Si contano sulle dita le persone care, perciò il poeta preferisce stare solo a lavorare il suo respiro, per lasciarsi poi rapire dall’incanto che un’ambientazione può generare; in egual misura agli occhi tipici del bimbo che si macchia piacevolmente coi colori, senza accorgersi di stare a creare il tutto per entrarci dentro da grande, quando si gioca semmai a dubitare in modo celestiale su ciò che si è come sui luoghi che mutano a forza di vivere. 
 
“Aspetto che il tempo
mi scavi l'anima
srotolando gli aspri trascorsi
e apra un varco
nella profondità e nel respiro”.
 
tempo al tempo bruno mohorovichTecnicamente, un pensiero dominante affascina per l’estremo, lo straziante e il passionale, tra versi talvolta dolenti, con l’atmosfera che si respira come un’ossessione da ricomporre, e l’umore velato.
Lirismo nostalgico, di compatta unicità, mette da parte storie per un destino che chiede d’essere ascoltato affinché non interferisca, col significato della parola che si mantiene per un esercizio igienico, di resettamento mentale.
L’insistenza della tematica volge all’appropriazione di un valore profondo, cosicché anche la fragilità e l’inconsistenza sortiscono dell’appartenenza per il lettore, a un’opera sincera.
Le monotonie rimandano a dei confini da esplorare col ron ron esistenziale, ambendo alla buona volontà, familiare o imprendibile a seconda di un confronto intellettuale come pure estraniante, dettabile dall’amarezza intimistica che si pone in equilibrio delicato, scandito… argomentata con un movimento lento e avvolgente.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i