Arriva
l’autunno, coi suoi prodotti colorati sotto un cielo grigio. E la Libera
Università di Manerbio (LUM) proprio a questo ha voluto dedicare l’incontro del
29 ottobre 2015, al Teatro Civico “M. Bortolozzi”: “Spiedo, cucina e…
letteratura autunnale”. La relatrice era la prof.ssa Carla Boroni, autrice di
volumi sulla rappresentazione letteraria del cibo. «Ho cominciato a trattare
l’argomento negli anni ’90, quando non era ancora di moda…» ha ricordato. Sebbene
paia antitetico, il legame fra letteratura e pietanze è senza tempo. La
relatrice ha citato il frutto proibito e il piatto di lenticchie della Genesi,
i frutteti e i latticini dell’Odissea; ha
ricordato la sovrapposizione fra valore alimentare e valore spirituale, che avviene
nell’Eucarestia e che fu tipica del Medioevo.
Ne “I Buddenbroock” (1901), Thomas Mann descrive un ricco pranzo autunnale a base di zuppa di
erbaggi, prosciutto con salsa e legumi, “terrina russa” (sorta di mostarda). Guido
Gozzano canta l’amore per “tutte le signore/che mangiano le paste nelle
confetterie” (1907). Ben altra poesia è quella della cucina futurista: Filippo
Tommaso Marinetti condanna la pasta come “assurda religione gastronomica
italiana” (1909), accusata di causare indolenza. Non poteva mancare “Il pranzo
di Babette” (1950) di Karen Blixen (da cui il film omonimo), in cui una cuoca
in esilio riporta il gusto di mangiare, amare e vivere fra paesani fin troppo
castigati. La “torta paradiso” diventa, invece, “La torta Purgatorio”, per Giovannino
Guareschi (1954). Due cenni son spettati al commissario Montalbano di Andrea
Camilleri, impegnato a fare i conti con vini forti e specialità a base di
pesce.
Il cibo è legato alla mente: è
desiderio e socialità. È distintivo di una cultura. Così, la Boroni è approdata
alla cucina bresciana e al suo principe, lo spiedo: legato alla fauna locale e
alla pratica della caccia. Le divergenze sulla corretta preparazione si sono
dimostrate degne di una disputa filosofica. Fra i tipi di carne, immancabili
gli ošèi (con le caratteristiche
interiora amarognole) e i mumbulì. L’elenco
di finezze ha compreso il ruolo insostituibile di salvia e burro, nonché la
qualità delle patate, del sale e della legna. Lo spiedo è evocato dal Carducci
in “San Martino” (1883); ma la Boroni ha declamato anche versi bresciani
dedicati a questa rustica squisitezza. Sono seguiti modi di dire legati alla
polenta e la menzione della “Bariloca”, la gallina rigorosamente rubata e cotta
in umido, con riso e funghi. Da non dimenticare i piatti ricavati dal maiale e
dalla zucca. Sempre più rara è la marmellata di cachi.
La
carrellata si è conclusa con un capolavoro della letteratura bresciana, “La
massera da bé” (1512) di Galeazzo degli Orzi. Protagonista: una massaia che,
ovviamente, ci sa fare anche in cucina.
Per passare dalla teoria alla
pratica, la LUM ha offerto ai partecipanti caldarroste e vin brulé. Il buon
autunno si vede dall’inizio.
Pubblicato su Paese Mio
Manerbio, N. 102, novembre 2015, p. 15.
Commenti
Posta un commento
Si avvisano i gentili lettori che (come è ovvio) non verranno approvati commenti scurrili, offese dirette, incitazioni all'odio di qualunque tipo, messaggi che violino la privacy o ledano l'onore di terzi. Si prega di considerare questo blog come uno spazio di confronto, così come è stato fatto finora, e non come uno "sfogatoio". Ci scusiamo per eventuali ritardi nella pubblicazione dei commenti: cause (tecnologiche) di forza maggiore. Grazie.