Parte II: Il Cigno Bianco e il Cigno Nero
8.
Michele
Ario fissò la strada fra la sponda del Ticino e le case, nel Borgo che prendeva
il nome dal fiume. Procedeva cautamente alla guida della Porsche, catturando
con lo sguardo ogni centimetro cubo d’aria. Sapeva chi doveva trovare. L’aveva
seguito.
D’un tratto, infatti, se lo vide
arrivare davanti, a piedi. Probabilmente, cercava l’auto parcheggiata. La
chioma rossa, la figura d’alabastro fasciata d’abiti scuri – come quelli che
amava indossare la sua “defunta” nipote. Fermò il veicolo; attese che il
giovane si avvicinasse e scese dall’auto. L’altro trasalì.
«Signor Bernasconi, La prego
caldamente di salire» lo apostrofò Ario, con una cortesia minacciosa. Amedeo
fece per ribattere. Poi, notò il figuro sul sedile anteriore, accanto al posto
del conducente. Si voltò e si accorse di un ragazzo biondiccio che lo fissava
duramente – troppo per essere lì per caso. Era sera e, in Borgo Ticino, non
circolava anima viva. Il fiume scorreva, nero come un monito.
Inghiottendo
saliva amara, si sistemò sui sedili posteriori della Porsche. Un terzo figuro
gli legò prontamente i polsi. Qualcosa cominciò a pulsare violentemente nelle
tempie di Amedeo, intanto che Ario si rimetteva alla guida e riavviava il
motore.
[Continua]
Pubblicato su Uqbar Love, N. 157 (5 novembre 2015), p. 16.
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