La
pieve “S. Lorenzo Martire” di Manerbio è una di quelle bellezze che sembrano
avvantaggiarsi dell’età. Perciò, nel trecentesimo anno dalla posa della prima
pietra (1715), i gioielli dell’anziana signora sono stati offerti alla vista
del pubblico.
Il Museo Civico ha ospitato una
mostra, con materiali tratti dall’archivio e possibilità di visita guidata al
sabato mattina, in ottobre. Si sono così rivelati un antifonario
cinquecentesco, calici, ostensori; l’immagine di una “Pietà” offerta, un tempo,
al “bacio della pace”; il diario del curato Nicola Cè (1739-1780). Altri fogli
a righe riportavano un frammento del decreto della visita pastorale di S. Carlo
Borromeo (1580). Due stendardi ricordavano le compagnie che sostituirono
(all’inizio dell’ ‘800) le confraternite, associazioni di laici dediti alle
pratiche devozionali e alla beneficenza. Non poteva mancare un Messale
tridentino. Un documento della Municipalità di Manerbio (1803) ricorda la
singolare storia di fra G. Regosa, parroco riconosciuto dai fedeli ma non dal
vescovo. Del 1770 è il bando dell’asta alla quale la Repubblica di Venezia
vendette il locale monastero dei Cappuccini.
Le fotografie in bianco e nero ci
riportano nella prima metà del Novecento, con un solenne Congresso Eucaristico
(1926), l’arrivo delle attuali campane (1947) e un Congresso Mariano (1949). Si
termina con un altro Congresso Eucaristico, quello del 2013.
Il 18 e il 25 ottobre 2015, invece,
l’arch. Michelangelo Tiefenthaler ha fatto da guida a coloro che volessero
conoscere meglio la storia dell’edificio sacro. L’attuale pieve andò a
sostituire quella precedente, lunga la metà e con l’abside orientato in direzione
opposta. La nuova chiesa doveva essere più adatta al culto secondo le
disposizioni derivate dal Concilio di Trento; non era neppure più necessario
inserirla nelle fortificazioni che avevano aiutato Manerbio a resistere alle
precedenti guerre.
La storia dell’attuale pieve è,
prima di tutto, quella di un cantiere pluridecennale (1715-1780), durante il
quale mutarono architetti e gusti: da quello barocco a quello neoclassico.
L’ordine architettonico è un misto di ionico e corinzio, per privilegiare le forme
slanciate. Le chiese del XVIII secolo, per l’appunto, erano dette “chiese dello
Spirito”, per questo tendere verso l’alto. Particolarmente curata è l’acustica,
per facilitare la predicazione e creare un’ideale ascesa delle preghiere al
cielo.
È stata minuziosa la visita agli
altari laterali, lascito della cappellanie in cui erano celebrate le Messe
richieste per testamento e campionario di colorati marmi locali. In primo
luogo, il trio altar maggiore – altare del Ss. Sacramento – altare della
Madonna del Rosario ribadisce i punti dottrinali rafforzati dalla
Controriforma: la centralità dell’Eucarestia e l’importanza del culto dei
santi, specialmente della Vergine. Tiefenthaler ha ricordato le disposizioni di
S. Carlo Borromeo: costruire nuove chiese riconsacrando ciò che le precedenti
avevano di più venerato. Per l’appunto, un altare è dedicato all’amatissima
Madonna della Neve, affresco quattrocentesco con fama di miracolosità; attorno
alla Vergine del Rosario, sono disposte telette preesistenti raffiguranti i
Misteri; il fonte battesimale, pure, proviene dalla vecchia pieve.
Tiefenthaler ha concluso
sottolineando il fatto che la bellezza dell’edificio e degli arredi sia dovuta
allo sforzo collettivo dei fedeli che, nei secoli, hanno percepito la chiesa
parrocchiale come un bene comune, un “biglietto da visita” e un segno
d’identità.
Pubblicato su Paese Mio
Manerbio, N. 102, novembre 2015, p. 9.
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