Un giorno, mentre riordinava un cassetto in previsione della partenza, Emma si punse le dita. Era il filo di ferro del suo mazzolino di nozze. I boccioli di fiori d'arancio erano gialli di polvere e i nastri di raso bordati d'argento si sfilacciavano sull'orlo. Lo gettò nel fuoco. Si accese più velocemente della paglia secca. Poi fu come un cespuglio rosso sulla cenere, che si consumava lentamente. Lo guardò bruciare. (1) Così l'eroina più celebre di Gustave Flaubert esprime il proprio rifiuto della sua meschina realtà matrimoniale. Un rifiuto che la rende simile alla tolstojana Anna Karénina e che porterà entrambe alla sconfitta.
Tanto Anna quanto Emma sono ben radicate nel nostro immaginario letterario. Figlie del secondo Ottocento, mostrano come questo periodo abbia visto fiorire il protagonismo femminile in letteratura. La donna rappresentava, in essa, il rimosso, tutto quanto veniva sacrificato all'ordine ed all'efficienza borghesi: felicità, passione, ebbrezza, che ad Emma erano sembrate così belle nei libri. (2) L'eroina flaubertiana, per l'appunto, è colei che ha dato nome al bovarismo, la ricerca d'evasione nell'identificazione con personaggi immaginari: Per sei mesi, a quindici anni, Emma si sporcò le mani con quella polvere delle vecchie sale di lettura della biblioteca. (3) Una volta cresciuta, cercherà di ricreare nella propria vita le vicende dei romanzi preferiti, a dispetto del suo ambiente provinciale, abitudinario e claustrofobico.Di queste velleità non le resteranno che gravi delusioni e debiti insolvibili. Nel finale, Emma si suicida, avvelenandosi. Con lei muore, nelle intenzioni di G.Flaubert, quel Romanticismo che l'ha sedotta, ormai in declino e pronto a lasciare spazio alla sensibilità del Naturalismo. Si può parlare di Madame Bovary come di un'analisi dell'inquietante potenza dell'immaginario: ogni evasione nella fiction ci avvicina ad una "zona d'ombra" in cui è possibile perdersi. Madame Bovary è un "libro su niente" (4), che rispecchia il fascino esercitato su G.Flaubert dalla letteratura come sistema chiuso in se stesso. Madame Bovary muore, dunque, d'alienazione, perché si è smarrita nei meandri di questo mondo parallelo. La sconfitta dell'eroina avviene a conclusione di un romanzo corrosivo, intriso -si può dire- di quell'arsenico che l'ha avvelenata. G.Flaubert oltraggia sottilmente tutto ciò che i suoi contemporanei rispettano: il matrimonio, la religione, la scienza, la legge (che prescriveva all'adultera dai tre mesi ai due anni di carcere). La letteratura stessa non sfugge, come abbiamo visto, a questo veleno.
Meno ironico, ma altrettanto critico è Lev Tolstòj nel suo Anna Karénina. L'eroina che dà il titolo al romanzo è una donna sincera ed appassionata, che si rende conto della mancanza d'amore ed autenticità nel proprio matrimonio. Decide, perciò, di abbandonare il marito per il giovane amante, anche se ciò le costa la rinuncia all'amato figlioletto. Infine, emarginata dalla "buona società" e sempre più trascurata dall'amante, Anna si suicida.
L'eroina tolstojana si distingue da Madame Bovary per l'assenza di fantasticherie e la piena coscienza del dramma che sta vivendo. Emma Bovary, progettando la propria fuga d'amore, la avvolge in un'atmosfera da romanzo: Sull'immensità di quell'avvenire che lei si immaginava, non distingueva nulla di particolare; i giorni, tutti magnifici, si somigliavano come le onde; e ogni cosa fluttuava verso l'orizzonte infinito, armonioso, azzurro e assolato. (5) Ben altro è lo stato d'animo di Anna dopo aver svelato l'adulterio al marito: La situazione che la sera prima le era parsa chiarita, ora le si presentò disperata. Fu atterrita al pensiero del disonore, che prima non l'aveva neppure sfiorata. Nel pensare a quello che avrebbe potuto fare il marito, fu assalita dalle supposizioni più terribili...(6) Tutto, per Anna, ha un significato e precise conseguenze. Sacrifica a Vronskij, l'amante, l'intera sua vita. Le sue scelte hanno un rilevante spessore morale: rifiuta la doppiezza, l'amore clandestino; ha bisogno di autenticità ed autorealizzazione. Non è, dunque, una sognatrice ingenua ed immatura come Emma Bovary. La sua resa finale non è un naufragio nei fantasmi dell'immaginario. E', piuttosto, una caduta sotto qualcosa di enorme, di spietato. (7) Questo "qualcosa" è la passione, orribile e bella come la tempesta di neve che fa da sfondo alla dichiarazione di Vronskij. (8) Allo stesso tempo, è un peso di carattere sociale. Anna rifiuta il tradizionale ruolo di moglie e di madre, che non aveva scelto. Vuole un rapporto "nuovo" con l'uomo, in cui trovi posto la sincerità della passione e degli affetti. Ciò le impedisce anche di accontentarsi di un banale adulterio clandestino, secondo le abitudini delle sue conoscenti. La sua vicenda mostra, però, come la società russa di fine Ottocento (in cui il romanzo è ambientato) non offrisse spazio a queste rivendicazioni. L'amante stesso, nel corso della storia, riduce la propria differenza dal marito: anch'egli, in quanto uomo, è socialmente avvantaggiato rispetto ad Anna. Non viene emarginato dal "bel mondo" e non può condividere il dramma dell'amata. Soprattutto, come nota Anna, egli cercava soprattutto una vittoria che lo lusingava [...] Ha avuto tutto quel che potevo dargli e ora non ha più bisogno di me. (9)
Nell'eroina soccombe anche una parte dell'autore, che si sentiva "adultero" nei confronti del proprio mondo. L.Tolstòj aveva bisogno di conflitti, di scandali; ciò lo porterà, per esempio, a protestare contro l'acclamata guerra russo-turca ed a rifiutare pubblicamente la dottrina della Chiesa. Il suicidio finale di Anna, simbolo di questo distacco critico, è dovuto anche all'ansia di autopunizione dell'autore, che infierisce su di lei come su una parte di se stesso. La tolstojana "mania di autoaccusa" viene, contemporaneamente, dal timore per le conseguenze del suo "adulterio intellettuale" e dalla necessità di temprarsi, rivolgendo accuse contro il proprio "io" compatto. A questo si riferisce l'epigrafe preposta al romanzo: A me la vendetta, io farò ragione (Rm 12, 19). La "vendetta" è quella dell'autore contro se stesso. E' anche quella della società contro l'adultera Anna e della donna contro il fatuo Vronskij, entrambe sproporzionate ed ingiuste. Difficile pensare che L.Tolstòj volesse fare del moralismo sull'amore "colpevole" dei protagonisti. Tuttavia, la relazione fra Anna e Vronskij sembra avere un "peccato d'origine": pur essendo sensualmente ricca, è povera di rispetto reciproco, comprensione e disponibilità a venirsi incontro. Una passione siffatta distrugge anziché creare; pertanto, entrambi gli amanti ne fanno le spese.
La resa finale di Anna Karénina e quella di Emma Bovary nascono, dunque, dalla sterilità dei loro amori: quelli dell'eroina flaubertiana sono passioni di carta, artificiose ed immature; Anna e Vronskij, prima della loro relazione, andavano l'uno incontro all'altra, ora si allontanano ciascuno per la propria strada. (10)
(1) G.Flaubert, Madame Bovary, trad. dal franc. di G.Pesca Collina, Giunti, Firenze 2004, pag.97
(2) G.Flaubert, op. cit., pag. 58
(3) G.Flaubert, op. cit., pag. 61
(4) B.Nacci, Introduzione a G.Flaubert, op. cit., pag. 15
(5) G.Flaubert, op.cit., pag. 246
(6) L.Tolstòj, Anna Karénina, trad. dal russo di O.Felyne, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1989, pag. 362
(7) L. Tolstòj, op. cit., pag. 959
(8) L.Tolstòj, op. cit., pag. 130
(9) L.Tolstòj, op. cit., pag. 952
(10) Cfr. L.Tolstòj, op. cit., pag. 952
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