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Mo Dao Zu Shi: una porta su mille domande

No, non è una fissazione, stiamo scherzando? Solo che, di Mo Dao Zu Shi, ho visto tutta la serie animata. E sto guardando la versione Netflix The Untamed, che ho già programmato di rivedere insieme ad amici. E ho l’artbook della serie animata. E intendo leggere i romanzi dell’autrice Mò Xiāng Tóng Xiù, da cui è tratta. E mi è nata una mezza fantasia d’imparare il cinese, grazie alla saga. Nemmeno la mia temporanea esperienza col kung fu mi spinse a tanto. 

locandina di mo dao zu shi
Fonte: Wikipedia


            Cosa volete che vi dica? Ogni tanto, salta fuori un universo narrativo che mi cattura e voilà, mi frigge in padella come un pesce.

            Mo Dao Zu Shi è di quelli – e io sono in buona compagnia nella padella per fritture, visto il gradimento internazionale che ha raggiunto. È abbastanza di nicchia, perché la complessità di trama e contenuti richiede notevoli dosi di concentrazione e passione, per seguire il tutto… ma neppure Il Signore degli Anelli è una favoletta e guardate dov’è arrivato. Gli auspici sono buoni.

            Cos’ha di così straordinario? Intanto, i personaggi sono meravigliosi. Caratteri a tutto tondo, menti brillanti, passioni forti che non ne obliterano le sfumature. Anche le relazioni fra loro sono profonde, scottanti e complesse.

            Poi, l’ambientazione… È un fantasy e la Cina antica che rappresenta è immaginaria. Si tratta di uno Xiānxiá, ovvero di un fantasy che si ispira alla mitologia, al taoismo, alle arti marziali, alla medicina tradizionale e alla religiosità popolare cinesi. Proprio per questo, per comprendere la serie appieno, mi sarebbe stato utile conoscere meglio l’universo culturale a cui si ispira. Mo Dao Zu Shi mi ha fatto toccare con mano la profondità della mia ignoranza, cosa che compiace sia la mia curiosità che il mio masochismo.

            La traduzione inglese del titolo è The Grandmaster of Demonic Cultivation, “Il grande maestro della coltivazione demoniaca”. Già, “coltivazione”… Non so cosa darei per sapere quali termini cinesi traducano cultivation e cultivators. Protagonisti della vicenda sono, appunto, aristocratici clan di cultivators. Di cosa si occupano? Apparentemente, di tutto lo scibile umano: letteratura, arte militare, medicina… Ma, soprattutto, di quella che è palesemente magia. Ogni discepolo di un certo livello, soprattutto se figlio del capoclan, deve avere un suo “strumento di prima classe”, per praticare le arti magiche. Di solito, è la spada, imprescindibile “per tutti i clan decenti”. Il suo uso per tracciare i segni nei rituali è attestato anche nell’esoterismo occidentale. [1] Del resto, la spada è pressoché ovunque il segno di nobiltà per eccellenza, dato il suo costo e la necessità di un addestramento specializzato: requisiti che non sono mai stati alla portata di chiunque. Ma – nel mondo di Mo Dao Zu Shi – esistono anche strumenti “minori” o “controversi”, come lame di tipo diverso, talismani tracciati su carta e altri che non stiamo ad anticipare.

            La distinzione fra i tipi di magia porta il discorso al cuore dell’argomento, che è l’affinità-contrapposizione fra i due cultivators protagonisti. A questo punto, giova dire che questo fantasy appartiene anche al genere dānměi, ovvero è una storia romantica fra personaggi maschili. Di solito, è scritto dalle donne per le donne e, in Cina, deve fare uno slalom costante fra i paletti della censura. Devo proprio spiegare perché?

            Uno dei due è Wèi Wúxiàn – per semplicità, lui e quasi tutti gli altri personaggi saranno designati col nome di cortesia, diverso dal nome di nascita con cui erano indicati da bambini. (E sì, il sistema onomastico di questo universo è un po’ complicato). È orfano, perciò è stato cresciuto dal capo del clan Jiāng, insieme ai suoi figli: l’erede Jiāng Chéng e la sorella maggiore Jiāng YànLí. Fin da piccolo, Wèi Wúxiàn si dimostra esuberante ed estremamente dotato nella cultivation, tanto da mettere in ombra l’ambiziosissimo e spocchioso erede legittimo. Questo già di per sé basterebbe a spiegare i continui scoppi di rabbia di Jiāng Chéng nei suoi confronti… Eppure, il figlio del capoclan è legato al fratello adottivo più di quanto oserebbe ammettere. Praticamente, non ha altri amici (chissà come mai, con un carattere così adorabile…). Comunque, non è lui l’altro eroe romantico, anche se diversi fan credono che bruci qualcosa di più, sotto l’apparenza dell’affetto fraterno. (Spoiler: io sono fra quelli).

            L’altro eroe romantico è Lán WàngJī, fratello minore dell'attuale gran maestro del clan Lán di Gūsū. Se Wèi Wúxiàn è sovente una “pecora nera”, Lán WàngJī è un modello di discepolo e gentiluomo. È distaccato, cortese, responsabile – praticamente perfetto, ma comunque meno antipatico di Jiāng Chéng. Sembrerebbe tutto il contrario dell’orfanello prodigio, che è invece quello che chiameremmo – in linguaggio occidentale e assai poco aristocratico – un gran casinista. Infatti, il nostro bravo ragazzo, all’inizio, non sopporta Wèi Wúxiàn, il quale, invece (per accanimento della sorte) gli dimostra un’assillante preferenza. Pian piano, però, fra i due nasce un’amicizia sempre più stretta… Tanto da spingere la brillante “pecora nera” a difendere Lán WàngJī contro le prepotenze di Wēn Cháo: un membro del clan Wen, che mira a sottomettere le altre scuole aristocratiche di cultivation alla propria autorità. Ne risulterà il massacro di tutto il clan Jiāng. Questa rappresaglia estrema, più che alla ribellione di Wèi Wúxiàn, sarà dovuta a quella dell’orgogliosa madre di Jiāng Chéng contro la sfacciata concubina di Wēn Cháo, che si era recata a ordinarle il castigo contro il figlio adottivo. Però, questo è un dettaglio che Jiāng Chéng sembra non recepire.

            La vendetta diretta del clan Wen contro Wèi Wúxiàn arriva più tardi: catturato, viene gettato fra i cosiddetti “Colli dei Sepolcri”: un’area nella regione di Yiling dove sono sepolti così tanti morti da essere piena del loro risentimento. Quelli che chiameremmo fantasmi e zombie la percorrono ogni notte ed è un luogo fatale sia ai corpi che alle anime. Proprio da qui, però, Wèi Wúxiàn tornerà con un potere inaspettato: quello di trasformare il risentimento e la rabbia in energia, nonché quello di addomesticare demoni e fantasmi. Alla spada, sostituisce un altro strumento di cultivation, il flauto. E, quando le sue sorti saranno del tutto separate da quelle del clan Jiāng, gli verrà dato il nome di “Patriarca di Yiling”.

            Non riassumerò qui la trama, che è intricata e che inizia in medias res, col ritorno di Wèi Wúxiàn dai morti. Basti dire che solo Lán WàngJī sarà al suo fianco, nell’indagine che scoprirà la verità sui crimini imputati al “Patriarca di Yiling” e commessi invece da ben altre mani… Quello dei clan di cultivators è un mondo ipocrita e assetato di potere: la vecchia storia di qualsiasi aristocrazia spirituale, del resto.

            Proprio da qui parte la prima delle mille domande (metaforiche, eh…) a cui allude il titolo: cos’è la vera nobiltà d’animo? Non è certo il mucchio di salamelecchi e di massime altisonanti che si scambiano i casati di cultivators… Se lo chiedeste a Lán WàngJī, risponderebbe: rimanere fedeli ai propri affetti e alla ricerca della verità, anche se l’autorità costituita pretenderebbe diversamente. Se lo chiedeste a Wèi Wúxiàn, direbbe più o meno la stessa cosa; ma aggiungerebbe che ciò significa rinunciare a molti pezzi di sé.

            Un’altra è: dove ho già visto questo? Mi riferisco al dualismo tra il flauto (strumento del “Patriarca di Yiling”) e la cetra, suonata da Lán WàngJī. La musica è essenziale nella cultivation e bisogna far ben attenzione ai motivi intonati: un cambio minimo ne muterebbe profondamente gli effetti spirituali. Ecco perché il gentiluomo perfetto suona lo strumento a corde, dal timbro che placa e armonizza. Il Gran Maestro della Coltivazione Demoniaca, invece, preferisce un suono che può essere dolcissimo o eccitante e selvaggio, che lascia grande spazio all’estro del flautista. Se si pensa alla mitologia occidentale, non può non venire in mente il dualismo Apollo-Dioniso, o Apollo-Marsia. Il flauto era associato anche a Pan, il dio della vitalità selvatica, dell’umanità primigenia ancora indistinta dagli altri animali. Anche gli antichi Greci, insomma, conoscevano bene la funzione psicagogica della musica e le sonorità più appropriate ai diversi generi di rito. Questo argomento potrebbe aprire un confronto pressoché sterminato con le ritualità di qualsiasi epoca e civiltà.

            Altra domanda: i protagonisti sono opposti che si attraggono o anime gemelle? Ebbene: perché non potrebbero essere entrambi? Diversissimi nella personalità e nel cammino spirituale prescelto, s’incontrano proprio per questo: perché le loro differenze, se accostate, diventano meravigliose. Per capirlo, basta ascoltarli quando suonano insieme il flauto e la cetra. Ciascuno di loro due è un grande personaggio di per sé, ma solo insieme creano una sinergia irripetibile. Forse, è questo il vero amore.

            Ma, allora, il vero amore è fatto anche di contrasto? O addirittura di odio? Sicuramente, c’entra con il contrasto, perché le personalità che si amano non sono due fotocopie: hanno esigenze diverse e non condividono realmente tutto, a meno di non avere lo spessore caratteriale della carta velina. Spesso, amare qualcuno significa anche rendersi conto dei pericoli che corre e degli errori a cui si espone, il che porta a una critica (costruttiva) nei suoi confronti. È così che le personalità si arricchiscono a vicenda, però. Buona parte dell’incanto è vedere come Lán WàngJī acceda a lati di se stesso che non conosceva, grazie al suo uomo. E Wèi Wúxiàn… no, lui non cambia mai per via di altri. Soffre, perde pezzi di sé, fa scelte irrevocabili… ma tutto parte da lui stesso. Per questo è The Untamed, il Non-Domato. Anche quando sembra sottomettersi al suo gentiluomo preferito, lo fa di sua testa, non per influsso altrui. Lán WàngJī se ne sarà fatto una ragione. 

locandina di the untamed
Fonte: Facebook
            Quanto all’odio… sì, nel caso di Jiāng Chéng, è inseparabile dall’amore. Perché è il suo modo malato di amare l’unico che sia mai riuscito a sopportarlo. È veramente affezionato al fratello adottivo e, probabilmente, tiene alla sua incolumità più di quanto non lo faccia lui stesso… ma i comportamenti dei genitori non hanno esattamente favorito la serenità del rapporto. Il padre preferiva sfacciatamente Wèi Wúxiàn; la madre gli rinfacciava sempre di non essere all’altezza di quest’ultimo… Insomma, ce l’hanno messa tutta per crescere un erede insicuro e squilibrato. Il fatto che sia riuscito a diventare un capoclan tutto sommato decente è una specie di miracolo. Aggiungiamo poi la sua disapprovazione per l’attaccamento di Wèi Wúxiàn a Lán WàngJī, che sarà pure un filino omofoba… ma puzza di gelosia a distanza di chilometri. 

            I quadri psicologici qui citati non sono gli unici. Mo Dao Zu Shi – così come The Untamed – è una miniera di ritratti interiori da sondare, se volete scatenare il Freud che è in voi. Che vi faccia venir voglia di prendere una laurea in psicologia, di imparare il cinese o di approfondire la spiritualità dell’Estremo Oriente, di sicuro questa serie non vi lascerà indifferenti, se l’avete amata. Ed evito battute sulla forza dell’amore.

 

P.S. Senti, Jiāng Chéng, non volermene. Nella serie animata, mi sei stato sullo stomaco. Ti ho rivalutato conoscendo la tua versione di Netflix, in cui si notano meglio il tuo lato tenero e la profondità dei tuoi sentimenti. Così tanto che sei diventato uno dei miei preferiti. Ma ti meritavi almeno una strapazzata, insomma…



[1] Per fare un esempio, si veda: Introduzione alla magia, a cura del Gruppo di UR, Roma 1971, Edizioni Mediterranee, vol. 1, pag. 391 e 394.




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