Tartufo secondo I Guitti. Fonte: teatrodelleali.com |
In
un’epoca in cui lo spettacolo viaggia per diversi canali, andare a teatro è un’attività da intenditori. Per apprezzare opere che, spesso, non appartengono
neppure alla nostra epoca, un po’ d’introduzione non guasta. Perciò, la
cittadinanza è stata invitata a una serata di presentazione del Tartufo (1664-1669) di Molière. L’iniziativa era firmata principalmente dal gruppo di
lettura “Libriamoci” e da quello di conversazione in lingua “Café Français”; ma
la collaborazione coinvolgeva anche l’Associazione Amici della Biblioteca di
Manerbio, il Teatro Politeama e l’Assessorato alla Cultura. La scelta di
presentare Tartufo o L’impostore era dovuta al fatto che questa commedia
sarebbe stata rappresentata a Manerbio il 27 novembre: un adattamento del
regista stesso, Luca Micheletti, inscenato dalla Compagnia Teatrale I Guitti.
Il 23 novembre, si è tenuta la
suddetta serata introduttiva, presso la Biblioteca Civica. La relatrice era la
prof.ssa Gabriella Arici. Questa ha precisato che il termine tartuffe, per
indicare un impostore, non fu un’invenzione di Molière. La sua opera lo rese
però proverbiale.
Essa narra di un generoso padrone di
casa, Orgone, che ospita a casa propria il signor Tartufo: un uomo di mondo che
si atteggia a direttore di coscienze. La stima di Orgone per lui è sconfinata,
al punto da promettergli in sposa la propria figlia. Non pago di ciò, Tartufo
cerca anche di sedurre la moglie dell’amico e di appropriarsi di tutti i beni di
costui. Riuscirà Orgone ad aprire gli occhi?
La commedia non ebbe una vita
facile. Essa irritò gli ambienti devoti e conservatori che circondavano il re
di Francia; la sua rappresentazione fu pertanto vietata. Nel 1667, ne fu
proposta una nuova versione: Panulfo o L’impostore. Il divieto di Luigi XIV
fu però rinnovato. La questione si risolse solo nel 1669, con una riedizione
della commedia che si concludeva esaltando la magnanimità regia.
L'incontro nella Biblioteca Civica di Manerbio per presentare il "Tartufo". |
La prof.ssa Arici ha descritto Tartufo come un’opera metateatrale: quella del personaggio eponimo è una
“recita nella recita”. “Ipocrita”, in greco, significa “attore”: e Tartufo si
mette in scena continuamente. Non compare mai da solo, perché, senza un
pubblico, egli non potrebbe esistere. Non pronuncia mai monologhi, perché il
monologo è il linguaggio dell’anima, che un impostore non può svelare. Per due
interi atti, non compare di persona: viene costruito dai discorsi che gli altri
personaggi tengono su di lui. Perché Tartufo è fatto di parole, di (falsa) reputazione. È suscettibile di interpretazioni molto diverse, anche se deve comunque
rimanere un carattere sgradevole.
Sia Tartufo che Orgone sono “tipi”:
personaggi cristallizzati in un determinato ruolo (l’imbroglione e il generoso
ingenuo). Tale semplicità era pensata per un pubblico spesso illetterato.
Tuttavia, la loro caratterizzazione mostra una sottigliezza che non si
ritrovava nella contemporanea Commedia dell’Arte. La loro universalità è la
medesima dei vizi umani. A ciò, si aggiunga che la lingua di Molière è assai
affine al francese contemporaneo: questi attributi fanno sì che sia un autore
tuttora immancabile sulle scene.
Dopo la presentazione della prof.ssa
Arici, è stata illustrata la stagione teatrale del Politeama. La serata è stata
conclusa da Andrea Alessandrini, membro della compagnia CaraMella di Bagnolo
Mella. Ha descritto il teatro come modo per stimolare la crescita personale,
variando i punti d’osservazione. Al contrario di altre forme di spettacolo,
questa è caratterizzata dalla relazione diretta col pubblico e dall’importanza
del punto di vista di ciascun spettatore.
Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 127
(dicembre 2017), p. 15.
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