Forse, certi argomenti funzionano come la nuvoletta fantozziana.
Ho appena finito di parlare di “meritocrazia” che già mi capitano i ricordi d’un
professore sessantenne… Qualcuno che ricorda de visu la nascita della televisione (l’Intervallo con le pecorelle… le manopole al posto del telecomando…
Un modello di televisore che, a casa dei miei nonni materni, era un cimelio…),
il Sessantotto e gli “anni di piombo”. Nonché un modello di meritocrazia di
cui, oggi, restano gli avanzi in realtà circoscritte, come Pavia. ‹‹Fin dalle
elementari, si sapeva d’avere due alternative: andar male negli studi e,
quindi, lasciare la scuola; oppure, essere brillanti e vedersi tutto pagato
(senza anticipare nulla!) dallo Stato: tasse, alloggio, biglietti del treno per
i pendolari… Certo, era stressante. Può sembrare anche crudele questo
meccanismo di “selezione naturale”…›› ‹‹Ma assai meno crudele che dover
studiare e pagare per anni, per poi trovarsi in mano un bel nulla!›› non
resisto io. Il professore fa un cenno paterno (del tipo, ‘ok, calmati!’): ‹‹Ci
stavo arrivando. Una volta laureati, si aveva la certezza di trovare un impiego:
magari, non il massimo… ma non c’era nemmeno il rischio della disoccupazione. Perché
i posti a disposizione erano numericamente equivalenti a coloro che sarebbero
andati in pensione…›› Il sessantenne in questione, da bambino, non possedeva
neppure la carta igienica propriamente detta. Ora, è professore ordinario.
Sia lui che
noi (i ragazzi della mia età) sappiamo che sarebbe ingenuo tornare a quella
meritocrazia (autentica, non gelminesca). L’orologio della storia –è risaputo-
non torna indietro. Anche se abbiamo ancora la pietas di sperare che si trovi un modo di promuovere
finanziariamente l’istruzione pubblica che non sia quello del “rappezzamento” o
del “braccino corto”.
Ma la
conversazione appena svoltasi mi è stata cara pure per altro. Ha illuminato le radici
del mio rancore verso quell’atteggiamento di “volemose bene” indiscriminato, di “tutto-ci-è-dovuto-a-priori” che, ogni tanto, mi capita di rilevare
attorno a me. (Fra le persone giovanissime, beninteso. Basta risalire alla
generazione precedente alla mia, per capire che la musica non è sempre stata
questa). La mentalità suddetta è tipica di chi non ha mai seriamente guadagnato
nulla. Perché chi lotta per una borsa di studio che gli serve,
indipendentemente dal fatto che riesca a ottenerla, non può permettersi un atteggiamento così lassista e gratuito. Quando
si compete con gli altri “cani affamati” per la stessa mangiatoia, l’Ammoooooooreeeeee passa
obbligatoriamente in secondo piano. Così come il “diritto”, inteso nella
concezione “vulgata” di: “beneficio elargito dall’alto, indipendentemente dal
sudore speso per ottenerlo”. Anche perché i diritti gratuiti non esistono:
corrispondono ad altrettanti doveri, oppure sono il risultato di lotte
indefesse delle generazioni precedenti. I “signorini” del “volemose bene”
leggono la democrazia come: “Qualcuno, dall’alto, è sempre obbligato a darci la
pappa pronta. Se domanda un minimo di contropartita da parte nostra, è un
tiranno”. Sono costoro a potersi permettere di vedere la “civiltà occidentale"
come un "Paese dei Balocchi", proprio perché in un “Paese dei Balocchi” hanno vissuto fin dalla nascita. Sono,
insieme, vittime e complici della "Grande Burla" di un “mondo dolce”, dove chi ti pone davanti a un ostacolo da superare lo
farebbe solo per “sfogo” o “frustrazione personale”. “Fuffa”, come direbbe Eligio De Marinis. Nello stato di natura, se non si lotta, non si mangia, né si sfugge ai
predatori. Nella “civiltà”, se non si studia/lavora, se non si accetta anche di
rintuzzare il proprio ego, non ci si riscatta socialmente, né (banalmente) ci
si può mantenere. (Ok, esiste la previdenza sociale, ma quella è un altro paio
di maniche. La vecchiaia e l’handicap non sono privilegi. Senza contare che istituti
come l’INPS esistono perché i cittadini lavoranti e paganti li mantengono:
quindi, siamo da capo col discorso). Un posto più prestigioso corrisponde a un
surplus d’impegno e viceversa. Laddove questo meccanismo s’inceppa, ci si ritrova al nostro
punto: frotte di laureati disoccupati che vanno a rimpolpare i ranghi del “proletariato
colto”. È nostra, questa bella novità sociale. Forse, l’università di massa non
è stata una gran trovata, dopotutto. Si considerino anche piaghe inveterate
come il clientelismo, che, sicuramente, qualcuno di mia conoscenza vorrà
rimettere sul banco…
Mi è capitato ancora di discutere con studenti universitari
di estrazione sociale differente dalla mia: qualcuno che poteva scegliere di
alloggiarsi in collegi di congregazioni religiose (costano fior di quattrini,
per chi non lo sapesse) o di andare in appartamento, anche per proprio conto e
con buoni standard abitativi. Questo genere di persone strabuzzerebbe gli
occhi, leggendo ciò che ho appena scritto. Si straccerebbe le vesti, per l’ “immoralità”
e l’ “inconcepibilità” di tutto questo. Mi direbbe: ‹‹Allora, ciò che ho vissuto
io sarebbe un’utopia!›› Appunto, baby. Per qualcuno, lo è.
Commenti
Posta un commento
Si avvisano i gentili lettori che (come è ovvio) non verranno approvati commenti scurrili, offese dirette, incitazioni all'odio di qualunque tipo, messaggi che violino la privacy o ledano l'onore di terzi. Si prega di considerare questo blog come uno spazio di confronto, così come è stato fatto finora, e non come uno "sfogatoio". Ci scusiamo per eventuali ritardi nella pubblicazione dei commenti: cause (tecnologiche) di forza maggiore. Grazie.