Colpiva in primis il
titolo scritto in quel modo così particolare: era il nome di Samael, Samaele
o Samiel che dir si
voglia, uno degli angeli più temuti della tradizione talmudica e
post-talmudica. Accusatore, seduttore e distruttore, si sarebbe unito alle
donne umane, trasgredendo così il volere divino (1 Enoch 6). Quella “I”
maiuscola fra parentesi ricorda il pronome inglese I, “io”: un’allusione a quell’ “ego” così spesso e volentieri
demonizzato? Quel “demone” senza il quale l’uomo non avrebbe (di fatto) la
dignità di persona?
A ogni modo, all’inizio della pièce, Samaele viene accettato all’unanimità fra le schiere degli Arcangeli. Gli danno il benvenuto suo fratello Michele e l’assai meno benevolo
Uriele. Quest’ultimo, focoso e sarcastico, non vede in realtà di buon occhio il
nuovo arrivato: è troppo indisciplinato, amico di tutti quei “reietti”… Che sia
semplicemente il cocco di Dio Padre, un “raccomandato”?
Quanto ai “reietti”, chi sono? Altri spiriti celesti, ma
macchiati da trasgressioni. Lilith, per esempio, ha spinto Eva a mangiare il frutto
della conoscenza. Grazie a lei, la vita degli uomini è bensì più dura, ma si è
affrancata dall’illusione che la imprigionava: adesso, gli umani studiano,
viaggiano, conoscono la realtà che li circonda. Lilith, però, si è guadagnata
il nome di “Serpente”, per questo. Asmodeo, invece, ha causato involontariamente il primo
omicidio della storia con una battuta infelice. Loro e gli altri “reietti” sono
fatti così: genuini, irriverenti, incapaci di rimanere nei ferrei ranghi
angelici. Soprattutto, aiutano Samaele a custodire il suo segreto: durante il
diluvio universale, ha voluto salvare una bimba di pochi mesi, colpevole solo
di non appartenere alla famiglia di Noè. Adesso, è cresciuta ed è divenuta una
bella ragazza: Bel. Samaele s’innamora (ricambiato) di lei e Lilith li unisce
in matrimonio: “non nel nome della terra, né in quello
del paradiso, ma in nome di ciò che vi accomuna”. Al novello sposo, Bel dà il nome di Lucifero, “portatore di luce”, perché è grazie a lui se lei
è potuta rimanere in vita, sotto la luce del sole.
Altra bella notizia: l’arcangelo Gabriele annuncia a Samaele che Dio l’ha scelto per trovare la vergine madre del futuro Messia. Con il suo arrivo, ogni peccato sarà redento… Anche i “reietti” non saranno più tali e Bel potrà smettere di nascondersi.
Possiamo credere che ci sarà questo lieto fine?
Ovviamente no. Le schiere degli Arcangeli sono troppo intrise di fanatismo e
rigorismo perché un felice scioglimento del genere si verifichi. Soprattutto
Uriele non dà pace a Samaele e Michele. Quest’ultimo, fra l’altro, ha bensì
anteposto l’amore per il fratello all’obbedienza… Ma sarebbe disposto a
rischiare anche il proprio posto di Arcangelo e le sicurezze del Regno divino?
Quanto a Gabriele, egli si rivela sempre più un androide senz’anima, incapace
di concepire i sentimenti se non come disprezzabili “istinti”, svuotato com’è d’ogni
affetto in nome della sua visione della “volontà divina”. Ma questo famoso Dio,
nel nome del quale Gabriele farà presto cose orribili… dov’è? Esiste, al di là
dei pretesti che l’Arcangelo accampa per giustificare la propria crudeltà? Il
dubbio è più che lecito.
Di certo, il potere e l’amore non possono andare d’accordo.
Chi ha l’ossessione di controllare ogni cosa – direbbe Orwell – non può che
temere l’amore, perché esso è incontrollabile. L’amore non
accetta norme. Può solo essere relegato all’Inferno, come tutto ciò che “disturba”. L’amore, nella sua
irriducibilità, è Satana, il “Nemico”: nemico di chiunque trovi sempre giustificazioni “superiori”
alla propria mancanza d’umanità, di chi indossa l’uniforme dei “buoni” per
negare la propria solidarietà ai “peggiori”.
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