In questi giorni, sono state tenute discussioni e polemiche sull'arte, in nome d'una sola statua (sì, lei... che ve lo dico a fare?). A prescindere dal fatto che essa meriti o no tanta attenzione, alcuni risvolti vanno ben al di là dell'attualità immediata.
J. E. Millais, Ophelia, 1851-2 |
Le diatribe sull'arte, sul rapporto fra estetica e contenuti sono antiche quanto l'arte medesima. Già Platone, nello Ione e nella Repubblica, trattò del rapporto fra l'educazione dei cittadini e arti come la poesia e la musica. Se, da una parte, censurò tutto quanto portava a un'eccitazione emotiva incontrollata e fine a se stessa, dall'altra dovette riconoscere il ruolo irrinunciabile del bello, nella pòlis ideale. Del resto (ponderò lo stesso Platone), come spingere i cittadini alla virtù, se non imfiammandoli col desiderio della sua bellezza? L'Eros, in fin dei conti, è motore di tutte le cose.
Lo è a tal punto che non ha bisogno nemmeno di fini o giustificazioni per ricercare soddisfazione. Per quanto l'arte possa essere accademicamente normata o essere impiegata a fini civici e morali, essa resterà sempre una forma di ricerca del piacere. Insomma: Art for Art's sake, A thing of beauty is a joy for ever, Beauty is Truth, Truth Beauty e tutti gli altri motti a cui siamo abituati.
A questo punto, ci si rende conto dell'aspetto immenso (e fortemente problematico) della questione. Perché l'ambito del piacere è praticamente illimitato. Si può ricavare piacere da un atto microscopico e ossessivo (ehm... far scoppiare pallini di cellophane, ad esempio). Si può provare piacere nel soffrire o nel far soffrire, così pure come nello sperimentare ciò che è abitualmente disgustoso. Si può provare piacere nella violenza, nella pedofilia, nel sessismo.
Abitualmente, questo lato della natura umana dà origine a crimini reali solo in caso di specifici disturbi della personalità. La fetta passabilmente "sana" dell'umanità si soddisfa con prodotti di pura fantasia: libri, immagini, materiali multimediali. Che si tratti di eros, thriller o di altre emozioni forti, ognuno ha il proprio cibo mentale.
E guai a toccarglielo. Guai ad accennare ai possibili veleni in esso contenuti. Guai ad esercitare spirito critico. Poco importa se lo spirito critico è proprio quello che permette alla nostra mente di mangiare ciò che vuole eliminandone le tossine.
Credo sia capitato praticamente a chiunque di difendere a spada tratta un cantante, uno scrittore, un regista o un qualsiasi prodotto d'arte da accuse rivolte ai lati oscuri della sua visione del mondo. "Sì, c'è un lato pedofilo in questo romanzo, ma è geniale"; "Sì, difende il sadismo, ma è un libero pensatore". E via discorrendo. Soprattutto nel cinema si è pronti a scusare le scorrettezze commesse sul set nei confronti della sensibilità altrui, se il risultato ha reso il film più efficace. Penso, fra l'altro, che chi contempla l'Ophelia di J. E. Millais non dia troppo peso al fatto che la modella abbia pagato quel risultato eccezionale con una pericolosa polmonite.
Questo perché la vita sola, senza sensazioni forti e profonde, è nulla. La fame umana di arte e di emozioni conformi ai propri desideri è tale da superare (anche in buona fede) altre istanze. Tutta l'arte è inutile possiamo dire, parafrasando Oscar Wilde. Ed è anche intensamente amorale. Quando si preoccupa di avere buone intenzioni, diviene debole, perché rinuncia alla sua autentica linfa, fatta di eros e thanatos. Walter Siti l'ha già mostrato in letteratura. L'arte che diviene grande e che riesce a parlare di generazione in generazione tocca le corde della follia e della fantasia perversa. Nasce dal patto col serpente di cui parla Mario Praz.
Questo cosa significa? Che ognuno di noi (non solo gli esteti raffinati e nevrotici) vive una lotta per conciliare il bisogno di piacere col senso etico e critico. Che non si può censurare e distruggere quanto è amorale, ma che non ha nemmeno senso negare l'esistenza del suo lato oscuro. Al cuore dello splendido narciso, c'è un bulbo velenoso: perché prendersela con chi ce lo dice?
Non colga il fiore chi non è pronto a riconoscerne il naturale veleno.
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