Mi piace pensare a un blog come a una porta aperta su dimensioni diverse, dal fantastico al reale... come a qualcosa che ci porta una boccata d'ossigeno. Qui troverete libri, film, pensieri, ironia, arte, cronaca e storia locale. Una scatola a sorpresa, ma sempre con un occhio per cultura e creatività.
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Cosa vuol dire quando dico “Ti amo”
Ti amo.
Non
vuol dire che mi aspetto da te una casa, bambini e un gatto. Tutte cose
rispettabilissime e (per certi versi) utili, ma che non cerco per forza da un
partner. I soldi? Ho sempre pensato che me li sarei dovuti guadagnare - e che,
al limite, l’aiuto debba giungere da chi ci ha dato l’incomodo di venire al
mondo.
Non vuol dire che ti irretirò in un
mare di sensi di colpa, falsi doveri e meccanismi di do ut des. Ci pensa già buona parte della società.
Non
starò a calcolare pidocchiosamente i biglietti dei treni, gli scontrini dei
bar, le ore passate ad ascoltarti - per poi sbatterteli in faccia, come
clamorose opere meritorie. Tutto questo è naturale,
in una relazione, e si paga da se stesso. Anche perché è contraccambiato
sul momento.
Non ti farò regali sospetti e non ti
presserò con le mie “competenze” e il mio “aiuto” per farti sentire che sono importante e che non puoi cavartela senza di me.
Non
vuol dire che sei lo specchio del mio ego, che mi compiacerò di quanto sei
infatuato/a, che mi sentirò accresciuta nella stima mia e altrui dal poterti
esibire come un attestato di laurea nella
Vita. Non ho mai capito i discorsi sulla “fierezza” applicati all’Amore.
Esso ha radici nei lati meno competitivi di noi, in quelli che non troverebbero
mercato su alcuna piazza o alcuna medaglia di riconoscimento. E che, per
questo, sono i più veri.
Non vuol dire che diventerò isterica
a ogni tuo silenzio sul cellulare, immaginando che tu sia con chissà chi a fare
chissà cosa. Anzi: chissenefrega. Un’altra
persona non ti renderebbe né più, né meno mio/a. Perché lo sei stato/a sempre e mai.
Non lo dico per autorizzarti a fare
di me un oggetto, a trattarmi come una delle tante conquiste a cui ricorrere
nel momento del piacere, per poi pretendere che se ne stiano “fuori dalle
scatole” quando hai “altro da fare”. O che rimangano sempre a tua disposizione,
senza che tu ti assuma alcun impegno con loro.
Ma
questo non significa che tu non abbia anche un perfetto senso degli spazi da rispettare. So che non mi
telefonerai alle tre di notte pretendendo di trovarmi disponibile, né che mi
consumerai il credito del telefono e le ore di studio o lavoro. E che non ti
inalbererai perché non ti ho raccontato anche il colore delle mutande che
indossavo la sera di Capodanno, o perché non conosci il nome di ogni singola
persona cui rivolgo la parola - insomma, che non ti sentirai tradito/a per il
solo fatto di non avere il controllo della mia esistenza. Neppure io mi sognerò
mai di fare cose simili con te, del resto. Non arriverò a farti scenate, a
presentarti conti di denaro o d’altro: né ora, né tantomeno dopo che le nostre
strade si saranno divise da anni. Coloro
che possono annoverare le proprie ricchezze non sono altro che mendicanti, diceva
la Giulietta di Shakespeare. E si riferiva ai mendicanti d’amore.
“Ti amo” vuol dire
questo: sono felice di questa mutua
felicità, di poterla alimentare come un fuoco. Questa felicità così
fragile, ma così potente, che colora i giorni, intesse poesie, ispira la
creatività, sveglia forze psicologiche che non si sapeva di avere. Non sarà
essa a durare per sempre, bensì ciò che saprà lasciarci. A entrambi.
Argomento delicato e molto importante. Ogni persona puo' interpretarlo in diverse sfaccettature, ma il culmine e la sostanza rimane sempre quella, amare se stessi. Lieto di conoscerla sign. Erica, le auguro un buon augurio per il suo blog, che devo ancora sfogliarlo, ma credo che sia interessante al di fuori dei propri comportamenti con il proprio partner. Colgo l'occasione di invitarla nel mio blog: pubbliworld.blogspot.vom. Saluti dalla prov. di Siracusa
Si avvisano i gentili lettori che (come è ovvio) non verranno approvati commenti scurrili, offese dirette, incitazioni all'odio di qualunque tipo, messaggi che violino la privacy o ledano l'onore di terzi. Si prega di considerare questo blog come uno spazio di confronto, così come è stato fatto finora, e non come uno "sfogatoio". Ci scusiamo per eventuali ritardi nella pubblicazione dei commenti: cause (tecnologiche) di forza maggiore. Grazie.
Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco...
Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere. Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e V...
All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza. Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italian...
Argomento delicato e molto importante. Ogni persona puo' interpretarlo in diverse sfaccettature, ma il culmine e la sostanza rimane sempre quella, amare se stessi. Lieto di conoscerla sign. Erica, le auguro un buon augurio per il suo blog, che devo ancora sfogliarlo, ma credo che sia interessante al di fuori dei propri comportamenti con il proprio partner. Colgo l'occasione di invitarla nel mio blog: pubbliworld.blogspot.vom. Saluti dalla prov. di Siracusa
RispondiEliminaGrazie a Lei! :D Le auguro buona lettura e La ringrazio per l'invito. :)
EliminaPrego,volentieri.. arrisentirla
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