Passa ai contenuti principali

Una vita in blu

È stato detto molto di La vie d’Adèle, il film di Abdellatif Kechiche che ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Meno si è parlato di Le bleu est une couleur chaude (in Italia: Il blu è un colore caldo), il graphic novel di Julie Maroh da cui la pellicola è stata tratta. Pubblicato da Glénat nel 2010, ha visto nel 2013 una riedizione dedicata al successo cinematografico di cui sopra. Il graphic novel, pluripremiato, ha ottenuto anche il sostegno della Comunità Francese del Belgio. 

L’opera è strutturata come un lungo flashback che racconta la storia di Clémentine. Si apre con un campo lungo, che mostra una città sotto la pioggia. Man mano, viene focalizzato il primo volto: quello di Emma, l’anima gemella della protagonista. Sullo sfondo grigio di una famiglia in lutto, il personaggio accompagna il lettore attraverso una situazione di dolore e pregiudizio. La vicenda si snoda per mezzo dei diari di Clémentine letti da Emma. Sono scritti in ogni sfumatura di blu: colore caldo per la protagonista, poiché simbolo dei suoi sentimenti. J. Maroh sottolinea il concetto nelle tavole in bianco e nero del lunghissimo flashback, in cui l’unica tinta vivace è proprio il blu dei particolari significativi: la felpa di Thomas, mancato “principe azzurro” di Clémentine; il diario dell’adolescente; i capelli e gli occhi di Emma.
Quello fra le due ragazze è un incontro casuale nel bel mezzo d’una routine come tante. Clémentine sta cercando la propria via verso l’età adulta, tra studi, amicizie, abbozzi d’impegno civile. Emma è più matura, un’artista militante a favore della comunità LGBTI, con un passato di dolorosa scoperta di sé. Quest’ultima toccherà anche a Clémentine, che si renderà conto, pian piano, d’una “diversità” dalle coetanee: non ha gli stessi sogni, si aggrappa ai loro consigli senza esserne veramente convinta. Poi, arrivano etichette ed ostracismi. Ma anche l’amicizia con Valentin, che diventerà il confidente di una vita. Tra risate e lacrime, passione e tradimenti, tenerezza e rabbia, J. Maroh dipinge una vita attraverso sapienti inquadrature, con abili giochi di sguardi e ritratti di sentimenti suggeriti con simbolismi semplici ed efficaci. Non manca il realismo della minuta quotidianità o dell’amore fisico, presentato senza falsi pudori, ma anche senza compiacimento. 
La storia d’amore è anche e soprattutto un “romanzo di formazione”. Clémentine cresce più velocemente del previsto; con la sua adolescenza, termina anche la vie en bleu: scompare il colore del sogno, riprendono forza quelli della realtà –non sempre dolce. È possibile un amore eterno? Probabilmente no, suggerisce l’autrice. Sono gli esseri umani a essere eternati da esso.

Fonte: Julie Maroh, Le bleu est une couleur chaude, Grenoble 2013, Éditions Glénat.


Pubblicato sul sito di Universigay, per la rubrica LeggiLOL.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i