Passa ai contenuti principali

La nipote del diavolo I, 4

Parte I: Fili pendenti



4.

Isabella rientrò nel proprio appartamento minuscolo, al penultimo piano del condominio. Buttò l’astuccio e gli appunti sulle lenzuola aggrovigliate e si diresse verso il bagno. Sfilò un bastoncino d’incenso dal tubo di cartoncino; ne accese la punta con un accendino; lo posò nel bicchiere che faceva da supporto, posto nella vaschetta che raccoglieva le ceneri. Gustò il profumo pesante ed esotico che intrideva le stanze, tappezzate di dipinti ad acrilico immaginosi o naïf: madonnine, fate, piramidi di frutta. Il Cigno Bianco Odette incontrò il suo sguardo, accanto allo specchio che fronteggiava il letto. Isabella sospirò. 

            Si diresse verso l’angolo cottura, senza ispirazione. Riempì automaticamente d’acqua una pentola e la mise sul fornello.
            Il sorriso invitante di Raniero occupava ancora la sua mente, dal giorno prima. Si aspettava che, prima o poi, l’assistente del dottor Ario – o qualcun altro della Lotus, comunque – venisse a chiederle conto del suo abbandono improvviso. Poco importava, forse. Non aveva nemmeno cercato di farsi restituire i soldi già versati per l’iscrizione.
            Voleva solo tagliare i ponti.
Il tuo prezioso dottor Michele Ario, il tuo guru, nonché lo zio che mi ha cresciuto… era impaziente di farmi seppellire.
Riecheggiavano ancora in lei quelle orribili parole di Nilde, nel crepuscolo di Borgo Ticino. Mentre la non-morta la riaccompagnava a casa, le aveva raccontato tutto: le proprie accuse di lavaggio del cervello, la decisione di avvertire Amedeo di non iscriversi ai corsi, il piano dello zio per spaventare e sottomettere la nipote. Quel trauma cranico che l’aveva condotta, incosciente, al Policlinico di Pavia. Quel risveglio nottetempo, nella camera mortuaria, dopo un sonno palesemente artificiale.
            Era stata una morte dell’innocenza, per Isabella.
Ed ecco che Raniero tornava sulle sue tracce, spettro vivente ben diverso da Nilde. L’espressione tenera e speranzosa di lui aveva parlato di buona fede. Ma, per la ragazza, qualunque volto proveniente dall’Associazione Lotus sarebbe stato – ormai –  un’istigazione alla fuga.
Gettò uno sguardo fuori dalla finestra, all’appartamento al pianterreno dell’edificio di fronte. Nessun segno di movimento, dall’abitazione di Amedeo. Sospirò.

[Continua]


Pubblicato su Uqbar Love, N. 175 (17 marzo 2016), p. 16.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italiana: i