Senza
memoria, non c’è cultura. Un ritornello che parte dai miti greci e arriva nella
quotidianità manerbiese. Per avere un tessuto di letteratura locale, per
l’appunto, è indispensabile ricordare chi è stato generoso di versi e prose.
Come Memo Bortolozzi (1936-2010).
Il 14 novembre 2015, è andato in
scena al Teatro Civico di Manerbio (ormai intitolato proprio al poeta) lo
spettacolo “Pèr mia desmentegàt” (= “Per non dimenticarti”). Una serata di
satira o, meglio, di satura: una pirofila colma di ogni pietanza
letteraria tratta dal repertorio di “Chèi dè Manèrbe”, la compagnia teatrale
locale. Ad arricchire ulteriormente l’offerta, si sono aggiunti due gruppi folk
della provincia bresciana: “I Cantùr dè Örölaècia” e “I Màcc dè le ùre”. La
direzione era toccata ad Angela Maria Bortolozzi, sorella dell’autore.
Lo spettacolo è stato inaugurato da
un prologo a metà fra realtà e impossibilità: Daniela Capra ha recitato un
difficile soliloquio, in cui dialogava con l’ombra del Memo ed evocava la
presenza dei suoi amici, dei primi attori delle sue commedie. Daniela stessa è
figlia di una compianta stella del teatro manerbiese, Piera Fiorini.
La locandina prometteva emozioni “dólse,
salàde e ‘mpeeréte” (= “dolci, salate e piccanti”), come recita il titolo di
una raccolta poetica di Bortolozzi. Il primo tempo è stato dedicato ai sapori
languidi o moderatamente frizzanti. I versi del Memo hanno ricordato ai
presenti la fatica e la bellezza del fare “Poezìa ‘n dialèt”, o la sensazione
di fare un “Viàs an foresterìa” passando davanti a vetrine dai nomi esterofili.
Perché la lingua non è neutra: è espressione di un mondo e di un modo di
vivere, come ha ricordato il presentatore Nicola Bonini.
Il caleidoscopio è proseguito, con
la piazzetta dove giocavano i bambini nell’era pre-PlayStation, i colori
dell’anima, le parole di una persona amata che sono come preziosi chicchi di
melograno. L’introspezione del Memo è risuonata ironica come sempre, con
l’autoritratto di “un gran bel ragazzo di cinquant’anni”, la paura di dipendere
“dai cretini e dai ruffiani”, una trottola immaginaria che sanciva la
complicità col nonno.
Non è mancata, naturalmente, la
presenza di Luigi Damiani, compositore di musiche per “Chèi dè Manèrbe”. La sua
voce baritonale e il suo pianoforte hanno eseguito “La cansù dè Burtulì”.
A sorpresa, sul palco,
scoppiettavano le “šmelegösie”, scioglilingua e pensieri sparsi del Memo.
Il
programma comprendeva anche assaggi di altri scrittori manerbiesi. Una
neolaureata ha proposto un breve collage poetico di immagini care al Memo,
“Chèl che l’è restàt”. Sua era anche una scenetta dialettale tratta da una
barzelletta: satira degli aggeggi elettronici che sembrano aver sempre più
spazio nei rapporti umani. Un più maturo autore ha denigrato “I viàs de cèrta
zènt”, fatti solo di alberghi e di donne, e ha rimpianto di non esser più
giovane, “Adès” che i desideri di una vita sono realizzati.
Un “bollone rosso” è stato poi
presentato al pubblico, per avvisarlo che sarebbero cominciate le emozioni “
‘mpeeréte”. Un’elegantissima signora ha declamato la Storia della Scorreggia”,
un’esperienza che caratterizza l’umanità, a partire dai personaggi più
illustri. Il gran finale è stata un breve “atto unico” del Bortolozzi: “Fermàda
dè la coriéra”. A metà della tratta Brescia-Cremona, diversi esemplari di
umanità si sono incontrati, coi rispettivi assilli. Niente come gli orari e la
fretta, per l’appunto, sembrano esternare ciò che sta più a cuore.
La conclusione, a sorpresa, è stata
affidata a una poesia composta in onore del Memo: un esemplare di umanità
davvero unico, che se n’è andato (come spesso succede) prima di vedersi del
tutto riconosciuto.
Pubblicato
su Paese
Mio Manerbio, N. 103, dicembre 2015, p. 25.
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