Parte III: Il
filo di Arianna
4.
Nilde
attendeva con spasmodica freddezza, ai piedi della “Lavandaia” di Borgo Ticino.
Ancora una volta, calava il crepuscolo. Se lei aveva intenzione di
tornare a curiosare in quei luoghi, non l’avrebbe fatto molto più tardi.
E, infatti, ecco una figura
biancovestita risalire dal Ponte Coperto e avviarsi verso la statua. Nilde
rimase volutamente immobile. Indossava lo stesso abito nero e vaporoso della
sera precedente, quando l’esaltata immaginazione di Isabella l’aveva scambiata
per un fantasma.
L’altra procedeva timorosa, ma
costante. Sembrò esitare e meditare la fuga, quando fu vicina alla “Lavandaia”.
Poi, in uno slancio, vinse l’ultima paura. Nilde se la ritrovò davanti, con i
chiari occhi sbarrati e il volto contratto in una maschera di terrore.
«Perdonami…» la pregò, mentre grevi
lacrime cominciavano a piombarle sulle guance. «Io… non avrei voluto essere
gelosa di te e Amedeo… Ti giuro… mi sono pentita… d’aver pensato che… dopo la
tua morte… No, non avrei voluto davvero che ti succedesse un incidente,
non l’ho mai pensato!»
Nilde rimase ad ascoltarla, intenta
come un confessore. Palesemente, Isabella continuava a credere che lei fosse
un’apparizione d’oltretomba, alla quale – per salvarsi – si poteva soltanto
ammettere ogni segreto dell’anima.
«Però…
ti prego… lascia andare Amedeo, adesso» singhiozzò ancora l’altra. «Mi hai
punito abbastanza. E lui non… non ha fatto niente di male…»
Finalmente, la ragazza nerovestita
si concesse un sorriso di dolcezza. «Sei tu a dovermi aiutare a
ritrovare Amedeo» rispose, con voce carezzevole e malinconica. Isabella smise
d’improvviso di piangere. Udire la voce del “fantasma” aveva spezzato qualcosa,
nel suo stato d’incantamento.
[Continua]
Pubblicato
su Uqbar Love, N. 163 (17 dicembre 2015), p. 24.
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