Parte III: Il filo di Arianna
2.
Nei
chiostri della facoltà di Lettere, gli studenti sciamavano dopo le lezioni. Le
vetuste porte di legno scuro lasciavano uscire ragazzi e ragazze aggrappati
alle loro borse piene di appunti, che scendevano o salivano le austere
scalinate, all’ombra dei portici colonnati in stile tuscanico. Dal Cortile
delle Statue, i quattro vegliardi in pietra – Luigi Porta Pavese, Antonio
Bordoni, Bartolomeo Panizza e Camillo Golgi – guardavano di sottecchi la scena.
Isabella si avviava di buon passo
verso l’uscita che dava su Strada Nuova, impaziente di andare a pranzo. Il
pieno giorno attutiva il ricordo della sera precedente – il ricordo di
quell’apparizione funerea nel crepuscolo di Borgo Ticino.
La sua camminata svelta, però,
incappò in un crocchio di suoi conoscenti, sul marciapiede. Sapeva che erano
studenti al terzo anno di Medicina – compagni di corso di Amedeo, ricordò, con
un tuffo al cuore. Mormoravano accanitamente, con espressione accigliata. Anzi,
piuttosto preoccupata. La ragazza si accostò a loro.
«…non si è fatto vedere a lezione
nemmeno ieri» stava dicendo uno del gruppo. «Qualcuno ha il suo numero di
cellulare? Io l’ho perso…» intervenne un’altra. «Già provato a chiamarlo»
chiosò un terzo. «Niente da fare». «Ma Amedeo non è un tipo da colpi di testa!»
insistette la tizia di prima. «Sparire così…»
Isabella
si strappò dal crocchio e fuggì. Strinse ancor più forte a sé l’astuccio e il
quaderno ad anelli. L’apparizione di Borgo Ticino ridivenne reale, pesantemente
reale. Mentre quell’ombra offuscava, ai suoi occhi, il cielo smaltato di
turchino, intuì cos’avrebbe potuto fare.
[Continua]
Pubblicato su Uqbar Love, N. 161 (3 dicembre 2015), p. 29.
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