Ha trascorso circa duemila sere all'opera e... no, non si è ancora stufato. Alberto Mattioli (Modena, 1969) è forse un unicum nel panorama giornalistico italiano. Non perché sia l'unico a parlare di opera lirica, ma perché è l'unico a farlo con tanta passione totalizzante e (allo stesso tempo) umorismo e leggerezza. Un vero toccasana, in una branca dello spettacolo troppo spesso segnata da conservatorismo becero e persino cattiveria, in certo pubblico. Questo, nel linguaggio di Mattioli, è il pubblico delle "care salme" o (in una versione più gentile) dei "semifreddi". Il riferimento necrofilo, comunque, non cambia. Quello del giornalista è un avvertimento: il teatro, per esistere, deve essere vivo. Per quanto si possa avere nostalgia di vecchie glorie come Franco Zeffirelli, Maria Callas o Luchino Visconti, the show must go on. Anche l'opera lirica deve trovare modi per parlare al pubblico attuale. Non può essere messa in un museo. Non può ignorare il fatto che il nostro stesso modo di andare a teatro è mutato, rispetto a quello del pubblico sette-ottocentesco.
Il loggionista impenitente di Alberto Mattioli: una vita di opera lirica
L'opera lirica, con la sua capacità di essere vita (e la parte migliore della vita!) è la protagonista della più recente opera di Mattioli: Il loggionista impenitente. Duemila sere all'opera (Garzanti, 2025). Il volume è stato presentato al Teatro Ponchielli di Cremona il 14 giugno 2025. A dialogare con l'autore, c'erano Andrea Cigni, sovrintendente del teatro, e Davide Livermore, regista de Il ritorno di Ulisse in patria (programmato per quella sera al Monteverdi Festival).
Insieme, hanno dato vita a un confronto godibile e ricco di spunti. Innanzitutto: Mattioli può essere davvero definito "loggionista"? Da quando si occupa di opera lirica per professione giornalistica, gli vengono regalati biglietti in poltrone ben più comode. Inoltre, cosa vuol dire essere loggionista? La definizione rimanda ai tempi in cui il mondo del teatro era più classista di oggi e il loggione era destinato alla "plebe", con tanto di ingresso separato. Mattioli ha ricordato la "lotta darwiniana" per ottenere un posto non numerato lassù. "Loggionisti" sono anche certi spettatori fanatici o un po' troppo "interattivi", che criticano le "imprecisioni" nel canto o nella messa in scena, che fischiano volentieri. Del resto, Mattioli ha ricordato che mostri sacri come Verdi e Donizetti venivano censurati per ragioni estetiche, sociali e morali: ai loro tempi, componevano opere "indecenti". Mettere in scena un sacco nel Rigoletto voleva dire portare su un sacro palco un oggetto triviale. Di tale tipo sono le critiche in cui incorre continuamente lo spettacolo operistico.
Alberto Mattioli, l'opera lirica e la leggerezza
Niente di tutto questo c'è in Mattioli. Il suo spirito critico si esprime in modo amabile, colto, argomentato. Sa essere cattivo, ma perlopiù verso i beceri censori di cui sopra. Il fatto di non aver capito una scelta di regia non è per lui un motivo automatico per buare lo spettacolo. Anzi, ama gli artisti che gli fanno comprendere opere per lui prima incomprensibili: un gesto tragico del basso buffo ne Il turco in Italia di Rossini è rimasto nella sua memoria, come tocco di profondità nel personaggio. Ricorda anche episodi più divertenti: in un teatro emiliano, la scena del sacco nel Rigoletto fu particolarmente goffa, quando la povera Gilda chiusa nella juta era un soprano molto massiccio. Fu allora che un loggionista (non Mattioli) gridò a Rigoletto: "Oh, fa' ben due viaggi!"
Del loggionista, l'autore ha la passione e l'assiduità nell'assistere agli spettacoli di opera lirica: un amore che si fa vita, senza timore di essere retorici. Allo stesso tempo, parla del suo argomento prediletto con una profonda leggerezza che è diventata rara nel dibattito pubblico. Né nasconde la propria preoccupazione, davanti al becerismo imperante in molte discussioni "importanti".
Perché l'opera lirica è ancora attuale
Come dice Mattioli, una passione è tale se folle e totalizzante, proprio come quelle rappresentate dal teatro operistico. Forse, è proprio questo il segreto della vitalità della lirica: è "uno spettacolo di pazzi fatto da pazzi per pazzi", per parafrasare le sue parole. Quelle tre ore in teatro sono uno spazio sicuro in cui sperimentare l'amore sfrenato, i contrasti più accesi fra le tenebre e le luci dell'animo umano, l'eccesso che non potrebbe mai avere posto nella vita quotidiana. Allo stesso tempo, l'opera lirica ci dà la piacevole occasione di ragionare sui mezzi concreti con cui queste grandi passioni sono inscenate. Il libro di Mattioli parla di cantanti, registi, teatri, costumi, delle piccole grandi cose che rendono possibile la magia. Al termine di un numero consistente di pagine, il lettore scoprirà di non essere ancora sazio. L'opera lirica è una storia infinita.
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