Passa ai contenuti principali

Attenti al Guru

Il tipo umano qui definito Guru non è sempre tale in senso letterale. Non è necessariamente a capo di qualche movimento spirituale, non è necessariamente una guida riconosciuta di qualcosa. Molte volte, non lo è. È uno dei tanti idioti decorativi e perniciosi che pullulano per il mondo, convinti di potersi far prendere per Messia con due mosse e due sorrisi. E ci riescono anche… ma solo perché il loro prossimo è troppo in buona fede e tende a proiettare sugli altri il buono che ha dentro di sé. Non v’inganni il maschile, fra l’altro: il Guru può essere di qualsiasi genere. E così pure può essere di qualsiasi corrente filosofica, politica o religiosa. 

pagliaccio assassino

            Il suo primo segno di riconoscimento – quello a cui deve la definizione che gli abbiamo dato – è che tiene ad apparire un tipo assai spirituale (anche se sarebbe meglio definirlo spiritato). Tutta la sua vita è uno slogan. Non dice mai niente che non sia improntato ad altissimi ideali. Concetti come fame, pipì e soldi entrano nei suoi orizzonti solo obliquamente. A parole, ovviamente. Guarda caso, non avrai quasi mai la possibilità di esaminare le sue azioni. Anche perché ne fa ben poche: è troppo impegnato a salvare il mondo. Così impegnato che le tue esigenze saranno sempre secondarie. Potrai rimanere nella sua vita solo a patto di trasformarti in frate/suora, consacrarti al suo nulla cosmico e seguirlo in qualsiasi scelta faccia. Anche quelle più idiote. Soprattutto quelle più idiote. Perché lui “agisce” (per così dire) sempre per il bene del mondo. Non perché sia un pirla disturbato che non si decide ad affrontare seriamente la propria crescita personale e preferisce crearsi una piccola “corte” di yes-men e yes-women che puntelli il suo ego altamente friabile. Il Guru è Gru dei Minions, ma senza il suo coraggio e le sue capacità.

            Altro segno di riconoscimento è il modo in cui menziona la parola “ego”. Nella sua bocca, ha sempre un significato negativo: “Devi lasciar cadere il tuo ego”; “Non ascoltare il tuo ego”; “Si tratta solo del tuo ego…” Giusto: questo vocabolo è sempre accompagnato da “tuo”. Non è mai il suo. Lui non ce l’ha… o, meglio, ce l’ha, ma talmente deforme e bucherellato da non poter evocare nella sua mente altro che disgusto e inconsistenza. In cuor suo, sa che la propria esistenza è solo un accanimento terapeutico nel voler mantenere in vita il proprio ego con mezzi inadeguati. Ma ammettere ciò andrebbe molto al di là delle sue capacità, quindi meglio predicare che razzolare.

            Fra l’altro, quel famoso “tuo ego”, per lui, è una minaccia costante. Perché è sano e gagliardo, al contrario del suo. Nel momento in cui ti rendessi conto di questa tua reale forza, lui sarebbe bell’e fritto. Addio a un lacchè e discepolo adorante…! Per non correre il rischio della perdita, deve tenerti costantemente in soggezione e fare leva sulla tua coscienza autocritica, dandoti del “viziato”, del “prepotente”, dell’ “accecato dalle brame” e altre consimili boiate, tutte le volte che la tua intelligenza e il tuo istinto di sopravvivenza si fanno sentire. Esprimere esigenze, se sono le tue, è di volta in volta egoismo, infantilismo, miopia… tutto quello che la sua fantasia di voltafrittate gli suggerirà. Ovviamente, se oserai protestare, il voltafrittata sarai tu.

            Ma perché diavolo una persona valida come te ha deciso, un malaugurato giorno, di perdere tempo e salute mentale col Guru? Perché l’hai scelto come amico, partner, confidente…? (Sempre che tu abbia avuto modo di scegliere: qualcuno se lo ritrova in famiglia. Magari - orrore! - come genitore.)

            Perché i periodi di fragilità capitano a tutti. Chi non si è mai sentito insoddisfatto della propria vita e prigioniero di prospettive che non riesce a cambiare? Chi non ha mai patito, almeno una volta, quella che Clarissa Pinkola Estés chiama la fame dell’anima? Se ti capitasse d’incontrare il Guru in periodi come questo, saresti nei guai fino al collo. Perché lui ha le esche perfette per attirare le anime affamate. È il suo unico potere autentico, fra i tanti che millanta.

            Ecco perché penso valga la pena di condividere questi pensieri, fondati (ahimè!) su atteggiamenti che ho più volte osservato nella viva esperienza. Uomo avvisato… m’avete inteso. I mezzi di saziare la nostra fame dell’anima non mancano, per stupidi che possano sembrare. Tutti comunque meno stupidi che delegare il nostro potere a qualche pagliaccio assassino d’anime altrui.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e Victoria, destinati a un matrimonio di convenienza, non è co

Il Cimitero di Manerbio: cittadini fino all'ultimo

Con l'autunno, è arrivato anche il momento di ricordare l' "autunno della vita" e chi gli è andato incontro: i nostri cari defunti. Perché non parlare della storia del nostro Cimitero , che presto molti manerbiesi andranno a visitare?  Ovviamente, il luogo di sepoltura non è sempre stato là dove si trova oggi, né ha sempre avuto le stesse caratteristiche. Fino al 1817, il camposanto di Manerbio era adiacente al lato settentrionale della chiesa parrocchiale , fra la casa del curato di S. Vincenzo e la strada provinciale. Era un'usanza di origine medievale, che voleva le tombe affiancate ai luoghi sacri, quando non addirittura all'interno di essi. Magari sotto l'altare, se si trattava di defunti in odore di santità. Era un modo per onorare coloro che ormai "erano con Dio" e degni a loro volta di una forma di venerazione. Per costituire questo camposanto, era stato acquistato un terreno privato ed era stata occupata anche una parte del terraglio