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Daria Collovini e "La ballerina di Degas"

Benvenuta Daria. Il romanzo “La ballerina di Degas” non l’avresti mai scritto se tu non avessi fatto parte (direttamente e/o non) di una dimensione artistica? I personaggi del romanzo sono in realtà persone che ti hanno lasciato il segno? 

daria collovini

Sono entrata a piccoli passi nel campo dell’arte per merito di mio marito, Euro Rotelli, fotografo per passione oltre che per lavoro; ma aver partecipato attivamente al suo progetto fotografico, THE BODY THE SOUL,  è stato l’abbrivio a questo romanzo. In realtà non è la mia prima produzione letteraria, avendo già pubblicato raccolte di poesia e racconti, ma dentro di me percepivo qualcosa di incompleto, qualcosa che non sapevo ancora come esprimere. Essere proiettata nel mondo della danza e dell’arte stessa per la realizzazione di questo progetto è stato fondamentale per poter usare questa metafora e comunicare così, attraverso una complicata storia d’amore e passione, il mio concetto stesso di vita. Il romanzo costituisce dunque un movimento fluido, e non sincopato come la poesia, per raccontare e raccontarmi attraverso i suoi personaggi. Ma l’aspetto per me più importante è aver scoperto tramite la stesura di questo romanzo la mia vera passione. E da quel momento non mi sono più fermata. Questi personaggi e le vicende narrate sono frutto della mia immaginazione. Ho volutamente lasciato un fondo di realtà nell’incipit e in qualche momento della trama per sottolineare quanto fosse stato fondamentale, appunto, questo progetto fotografico per la stesura del romanzo. I protagonisti sono “composti” da vari modelli. Alcuni di loro ispirati da persone reali, ma poi modificati, rimescolati, ricostruiti, riassemblati. Questo mi ha permesso di creare anche in corso d’opera nuovi personaggi ai quali ho dato un altro volto. Quindi sì, nella vita reale in qualche modo hanno lasciato il segno. Ma questo credo avvenga per ogni scrittore. Chiunque entri nella sua sfera lascia qualcosa che poi può venire utilizzato in un romanzo, sia esso uno sguardo, un abito, un’espressione o una frase, come un modo di essere o di porsi. Anche un dettaglio può essere fondamentale in una trama.

Il successo artistico lo intendi solo a livello planetario?

Se inteso come riconoscimento oggettivo e numerico, allora sì, senz’altro. Sono i numeri e i riconoscimenti a decretare il successo, da sempre. La fama si raggiunge con la notorietà, altrimenti rimani “di nicchia”, sempre vada bene, oppure un “illustre” sconosciuto. Il riconoscimento determina il successo. A meno che non si voglia accontentarsi di essere additati come novelli Michelangelo tra le mura di casa. Questo non sempre coincide però con il talento. Sappiamo benissimo che si può raggiungere il podio anche senza meriti particolari, ma solo perché un certo numero di persone influenti ha deciso che deve essere così. Quante volte vediamo dei libri diventare best sellers solo perché scritti da personaggi famosi, oppure artisti mediocri premiati o selezionati da critici? Accade ogni giorno. A volte si tratta di fortuna o, come si dice, essere al posto giusto nel momento giusto. Esistono artisti ovunque, dei veri e propri geni, dei quali nessuno saprà mai nulla, oppure riconosciuti post mortem; la storia è piena di tali esempi. Nulla cambierà. L’importante è che chi ha raggiunto il successo lo meriti e ne sia degno. Ma, a prescindere da queste considerazioni, è fondamentale che ogni artista, intendo un artista vero (e già è difficile individuarlo e darne una definizione oggettiva e conclamata nel tempo), sia in grado di potersi esprimere sempre e in ogni modo e che questa creatività non possa essere rallentata oppure ostacolata da fattori esterni o dalle troppe delusioni ricevute. Perché l’arte è libertà e va salvaguardata sopra ogni cosa. Diego, il fotografo protagonista del mio romanzo, appartiene a quest’ultima categoria. Soffre come non mai non solo perché le sue opere non riescono ad essere conosciute e apprezzate come dovrebbero, ma soprattutto per il sistema imperante che premia chi non possiede un vero talento ma ha le giuste conoscenze, penalizzando altri che lo meriterebbero. Ecco: Diego denuncia la mancanza assoluta dei criteri di meritocrazia nella società odierna.

Un talento naturale viene inflazionato più dai sacrifici perrafforzarlo nel di dentro o dalle conoscenze perestenderlo al di fuori?

Direi entrambi. La richiesta o la pressione esterna costringono a volte l’artista a piegarsi alla domanda o alle leggi del mercato, con conseguente ripercussione sull’esito del suo lavoro che perde di estro e creatività allineandosi con la “moda” del momento. Questo può verificarsi per inseguire la “vanagloria” e il successo perdendo di vista la propria essenza, oppure per costrizione economica o per la ricerca di essere apprezzato, rinunciando così alla propria identità artistica. Diego, nel mio romanzo, nichilista per natura, riesce a mantenere integra la propria identità nonostante le avversità, mentre Adele, sua moglie e ballerina, riesce a passare indenne attraverso le malelingue e gli intrighi, proprio grazie alla sua tenacia e capacità di avere ben chiaro il proprio obiettivo. La sua è un’ingenuità “genetica” che, invece di ferirla, la protegge dagli attacchi di un mondo esterno che non le appartiene. Due espressioni artistiche diverse che mantengono intatta la loro integrità morale e la loro essenza, completandosi e sostenendosi a vicenda.

Non è già di per sé un’arte separare il lato pubblico da quello privato perdurando come persona in tutta autenticità?

Più che un’arte credo sia un’abilità. È un gioco di equilibri basato sia sulla capacità personale che sulla fama raggiunta. Non tutti ci riescono.

La precarietà in amore è inammissibile?

“In amore niente regole”, è il titolo di un film di George Clooney. Tutto dipende dalla solidità di un amore e dal rapporto interpersonale creato dalla coppia. Nel mio romanzo Adele e Diego riescono a superare prove difficilissime solo rimanendo insieme, con la fiducia e l’amore smisurato che hanno l’uno verso l’altra. La precarietà non può essere amore. Un amore può finire per vari motivi, ma mentre esiste non può essere precario, altrimenti è un’altra cosa. Quello di Diego verso Francesca non era vero amore, ma affinità con la compagna, affetto, condivisione. Ma lui non lo sapeva fino a quando non incontra Adele. Mentre per Francesca si tratta di vero amore. Talmente vero che sarà lei a farsi da parte, non potendo ammettere che il suo compagno possa solo pensare a un’altra invece che a lei. Un tradimento avviene prima nel cuore e nella testa che fisicamente.

E il cambiamento a livello prettamente umano, trattasi di pura fantasia?

Io lascio sempre spazio alla possibilità di cambiamento e ravvedimento nelle persone. Non potrà mai essere radicale, perché una persona, oltre al proprio patrimonio genetico, si forma attraverso l’educazione e l’esperienza. Ma siamo esseri adattabili. Anche le nostre idee e opinioni posso cambiare nel tempo. A volte può arrivare una tragedia, sia in senso positivo che negativo, a sconvolgere la vita e a portarci a riconsiderare le nostre scelte e le nostre convinzioni. Altre volte può trattarsi di un lento processo di riflessione indotto dall’esterno o da qualche pressione interna in qualche fase maturativa della nostra vita. Elena, l’antagonista di Adele, si ritrova in entrambe: una serie di eventi capovolgeranno la sua esistenza sovvertendo le sue sicurezze, ma ci vorrà tempo e aiuto da parte di altri per portarla ad una valutazione e alla possibilità di un cambiamento. Mentre la madre, Flavia, vive in modo sconvolgente questa esperienza che cambierà radicalmente il suo modo di vivere.

Un individuo può mai riscattarsi senza far del male a un altro?

Sì, certo! Tramite il suo cambiamento può migliorare anche la vita degli altri, perché no? A volte, però, può accadere il contrario. Ci possono essere dei distacchi, decisioni dolorose, a volte impreviste o indipendenti dalla nostra consapevolezza o volontà, che coinvolgono altre persone nel processo evolutivo o di “redenzione”. Alla fine ogni cosa ha un suo posto e un suo significato. Nel mio romanzo lascio sempre aperta la porta della speranza.

Pensi che gli scrittori non aspettino più d’essere letti?

Credo semmai sia vero il contrario. Gli scrittori sono convinti e sperano di essere letti. Ognuno di noi scrive per istinto e passione, ma alla fine cerca sempre qualcuno con cui condividere il proprio lavoro. Ogni nostra “creazione” nasce per un’intima esigenza di espressione, ma quasi sempre non la teniamo per noi, tendiamo sempre a domandarne il parere per ricevere un consenso o una critica, per capire, insomma, se il nostro prodotto ha un certo valore oppure lo ha solo per noi stessi. Il problema non è solo la diminuzione dei lettori, fenomeno purtroppo vero e in espansione, quanto l’inflazione di chi scrive. Siamo in tanti, troppi; si dice che superiamo in numero i lettori. Ma il problema non risiede nella quantità, ma nella qualità. Con l’aumento di chi scrive (continuo volutamente a non usare il termine “scrittore”), aumenta la confusione tra i lettori e l’incapacità di discernere tra chi scrive e un vero scrittore. Capita che, se non ben consigliati, si finisca a leggere spazzatura perdendo tempo e disamorandosi della lettura, come accade per l’arte quando si visitano troppe mostre di autori mediocri. Pochi libri rimangono nella nostra memoria e nel nostro cuore. Gli altri si volatilizzano e si perdono, e dimenticheremo presto i loro nomi o i titoli. Anche best sellers senza valore, se non quelli del mercato del momento. Rimane quindi valido il passaparola tra i lettori e il parere dei librai, quelli di una volta, che resistono nonostante la crisi. Promuovere libri di basso livello solo per aiutare amici o conoscenti non fa bene, né agli addetti perché trattasi di perdita di tempo, né agli autori perché trattasi dell’illusione di saper scrivere. Chiunque può scrivere. Saper scrivere fa la differenza. E solo un lettore allenato e preparato lo può decretare.

Di una critica che te ne fai, mi racconti le sensazioni che provi quando essa è bella e quando invece è brutta?

Ovviamente, quando leggo recensioni positive, ne vado orgogliosa e la mia autostima cresce. Fa parte della natura umana la ricerca di consensi. Quando ne ricevo una negativa, o almeno su certi punti di un mio romanzo, anche se in stesura, la prima reazione è la non accettazione e l’insofferenza. Ma poi mi fermo a riflettere su quelle parole. Mi estraneo dalla matrice personale e mi pongo nei panni della lettrice. Spesso riconosco la veridicità delle critiche e ne tengo conto per il prossimo romanzo, oppure modificando quello in corso d’opera. Lo faccio sempre. Altre volte rimango ferma nelle mie certezze: può essere per scelta e convinzione personale, ma anche valutando da chi proviene la critica, sempre se lo conosco personalmente. Importante è rifletterci, sempre.

Hai le idee chiare durante una stesura sotto l’aspetto tecnico?

Se riguarda il mio stile sì. Magari posso modificarlo in qualche aspetto in funzione della storia che racconto, adattandolo al ritmo della narrazione. Ma non riesco a scrivere inserendo “forzature” se non le sento mie. La dissonanza sarebbe immediata. Quando inizio ho ben chiara la trama a grandi linee, il finale e i personaggi principali. Lo scheletro, per meglio dire. Tutto il resto, la carne e tutti gli apparati del corpo, si formano a mano a mano che scrivo. Non seguo mai una regola. Come la vita: tutto può cambiare, fino alla fine.

È solo una mia impressione o la Sveva Casati Modignanipossiamo davvero considerarla come il tuo punto di riferimento letterario?

A questa domanda mi è difficile rispondere perché non conosco bene questa autrice della quale holetto solo un paio di libri. Non ho mai pensato a lei come a un riferimento, ma come a una brava scrittrice tra i tanti che leggo. Io sono un’appassionata di letteratura americana contemporanea, anche se apprezzo altri scrittori di molti altri Paesi, ognuno per un suo stile diverso. Potrei citarne a decine. Ognuno di loro mi lascia qualcosa di prezioso. Ho ripreso da poco a leggere anche i contemporanei italiani che avevo messo da parte dopo alcune delusioni. Se la similitudine con la Modignani la intendi come contenuti (sfondi passionali e saghe familiari, per esempio), potrebbe essere, nel senso che anche a me piace raccontare storie che coinvolgano dal punto di vista esistenziale, nel dramma di quello che è la vita, anche se preferisco estenderla fuori confine, confrontare luoghi e ambientazioni diverse. Inoltre rimango abbastanza nel presente, anche se con escursioni nel passato come nel romanzo che sto scrivendo ora. Quindi non direi di aver pensato a lei come modello, nemmeno inconsciamente. Ma se ne hai visto delle somiglianze, può essere che qualcosa nel mio stile la ricordi. Lo prendo come un invito a leggere altri suoi romanzi! 

daria collovini la ballerina di degas

… “La ballerina di Degas”

Ne “La ballerina di Degas” è in… ballo l’attitudine a impegnarsi a lavorare con profitto, in parallelo l’amore lo si monitora nel grigiore del tempo che passa ma reciprocamente, umanamente.

Difatti in balia dei sentimenti si appanna il materialismo con tutti quegli esseri fintamente viventi, che si vantano ma che suscitano compassione.

Cuore e mente vanno a braccetto lungo percorsi esistenziali che tracciamo sorprendendoci unicamente.

Il testo si rispecchia nell’ultimo decennio del XXesimo secolo, con l’addensamento di segreti e storie ad accavallarsi in atmosfere che solo le capitali della moda sortiscono.

Al lettore viene riproposto il fondamento dimodoché ci si possa muovere dentro di noi, in base alla figura di un Diego al margine della logica comune, portato a rappresentare dei significati come nuovi, usando i più diversi e disparati strumenti di lavoro, scavando e non calpestando una piana evolutiva per definirla con sofisticatezza, motivato “all’istante” ogni volta per tentare di dare forma a delle ambizioni… anche se occorre in primis scacciare il pessimismo, il pensiero di non convincere gli altri.

Eppure si annulleranno gli esseri umani, le fatiche e le questioni, come a dare adito a un’esclusiva… Diego e Adele si fonderanno in mezzo alla moltitudine di anime terrene, rendendo reciproco, univoco il diritto a perseverare, volendo stabilire l’eternità, volendo semplicemente ingrandire le emozioni.

Il romanzo della Collovini lo si può contemplare perché pittoresche sono le sensazioni parola per parola, specie quando l’ambientazione si espande per intero con un’indole parigina, illuminante… traspare a un certo punto una ricchezza di tipo congiunturale al lettore, e poco importa se il sole è coperto.

La Collovini stringe la parola per impressioni sospese, motivate da un eccesso di stanchezza da scontare, vedi la protagonista del romanzo, Adele, che comincia a portarsi avanti provando un senso di astio da competizione in presenza di Elena… per la prima volta il cuore le batte come se depredato dall’incapacità di tenere testa a una situazione decisiva.

Eppure Adele si era innamorata, e veniva ricambiata, deliziata da una forma d’appagamento straordinaria, nonché da un talento proprio, considerato dall’establishment come manna dal cielo… meriti insomma sverginati e da trattenere con tutta la forza di volontà, mirando ai bersagli di un’autostima rivitalizzante, per vincere senza calpestare i piedi altrui.

La Collovini è stata in grado di entrare in una dimensione artistica, e scrutarne gl’ingranaggi esibizione per esibizione, incantata dai personaggi di primo piano, che insistono, soffrono, s’impegnano, recuperando sempre e comunque dei battiti di vita, con la felicità a giganteggiare.

Sollecita l’attenzione sulle derive comportamentali, ben sapendo di un saldo in passivo, ovvero nuovamente… si dovrebbe rimanere a bocca aperta per la semplicità di gesti quali confessare d’avere sbagliato, dimostrando quindi di rispondere all’angoscia terrena!

Daria attorciglia fatti e soggetti dipesi da una coppia d’anime che viene principalmente romanzata, che prese singolarmente necessitano di sfide difficili volendo tutelare ciò che provano insieme e andare oltre il quotidiano, rischiando di rimanere assuefatte a un contesto estraniante; ben sapendo però di potersi abbracciare alla radice.

La parola scorre, invita spesso il lettore a non prendersi troppo sul serio, abbonda di sorprese, ammalia chi la segue per farsi trascinare su vie tortuose… quelle che conducono alla creatività come al ballo, primordiali per stile ed eleganza, mediante i difficili rapporti che Adele e Diego maturano per il loro amore, un amore da raccontare.


A cura di Vincenzo Calò

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