Che le questioni ecologiche siano di particolare urgenza oggigiorno è cosa nota. Meno noto è il rapporto che hanno con l’ambiente le diverse correnti e tradizioni spirituali; anzi, forse non è chiarissimo quale legame ci sia tra la ricerca dell’ “alto” e la preoccupazione per la terra.
Questo è stato proprio l’argomento del ritiro “EcoDharma” (laddove dharma è il termine sanscrito per “legge cosmica” o “dottrina”), organizzato dal monastero zen Sanbo-ji a Pagazzano di Berceto (PR). Ha avuto luogo dal 14 al 16 agosto 2020 ed è stato aperto a chiunque, indipendentemente dall’appartenenza religiosa. Per questi tre giorni, i partecipanti hanno meditato (seduti o in cammino) sui monti dell’Appennino parmense, godendo di fortunate giornate di sole scalfite da rannuvolamenti, piogge e cenni di temporale. Hanno visitato un eremo cristiano in rovina, le cui pietre ricordavano l’ambientazione di certi presepi artistici. Hanno attraversato le stradicciole nel bosco. Hanno visitato Pagazzano (i suoi residenti si contano sulle dita delle mani) e hanno visto chiuso il circolo dove, fino a qualche anno fa, era possibile riunirsi e gustare qualche buon liquore. Attualmente, esso è chiuso per assenza di volontari che lo gestiscano. La casa davanti a cui questo circolo sorgeva, fra l’altro, era della seconda metà dell’Ottocento: un pezzetto di storia.
Altre
volte, i risvegli mattutini sono stati seguiti da meditazioni sui prati dei
dintorni, davanti allo spettacolo dei monti. Si trattava semplicemente di
essere immersi in tutto quello (l’erba, il sole, il ronzare degli insetti), sentendolo in profondità nella pelle,
senza le abituali distrazioni o castelli di concetti. Due pranzi sono stati
consumati da ciascuno in silenzio, in un angolo del giardino e del bosco che
circondano il monastero. Naturalmente, il ritiro ha compreso anche le abituali
sessioni di meditazione nella sala apposita e il samu, il lavoro per il monastero inteso come pratica di cura e
attenzione: pulire stanze e bagni; curare traduzioni; lavorare nell’orto, nella
legnaia e nel bosco vicino.
In che senso lo Zen ha a cuore
l’ambiente? Questo è stato esplicitato in uno dei discorsi tenuti dal maestro
Tetsugen Serra, abate di Sanbo-ji: ciascun essere è parte di un “tutto”
organico, per cui qualsiasi azione
nei confronti di un altro (anche non umano) ha conseguenze a cui nemmeno
l’autore della detta azione può sfuggire. Ciò è particolarmente lampante nel
caso dell’inquinamento, frutto di quella
compulsione al consumo che è uno degli aspetti della “brama”, il desiderio incontrollato e inflazionato che genera
sofferenza. Una “via zen” all’ecologia sarebbe uno stile di vita ispirato al
principio della sufficienza.
Alcune note ispiratrici provenivano
da Beata
semplicità di Raimon Panikkar
(Assisi 2007, Cittadella Editrice, pp. 102-107). Esse dipingevano il praticante
come vivente in comunione con il cosmo, in una sorta di “dimensione verticale”
che collega cielo e terra? E l’orizzontalità? Il mondo della società umana? Troppo
effimero e illusorio? In realtà, il praticante non può fare a meno di
radicarvisi. Trattando ogni elemento esistente come compagno di vita, non può
fare a meno di sviluppare anche interessi sociali e comprensione storica, visto
che storia e società sono composte da quegli “esseri senzienti” con cui entra
in empatia. La cura che ha per la terra è quella che avrebbe per un essere
vivente e la solitudine gli serve per fare più attenzione ad essa, abitualmente
trascurata e abusata dagli uomini nella loro “scalata verso il cielo”.
In questo amorevole “chinarsi verso
la terra” , c’è il tipico atteggiamento zen della rinuncia a una falsa idea di
sé, per ritrovare la sostanza di cui si è fatti e il “cordone ombelicale” che
ci lega al resto del cosmo.
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