Bentornato Bruno! Ma il tuo cuore somiglia a un…?
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Bruno Mohorovich |
... Vulcano... sì, forse a un vulcano in eruzione. E' un ammasso di emozioni, di sentimenti pronti a esplodere. C'è anche una fase di "addormentamento", ma quando si sveglia...!
In amore bisogna prendere l’iniziativa, ed è come nella vita di tutti i giorni?
La reazione di fronte all'innamoramento ritengo sia soggettiva. C'è chi prende l'iniziativa e chi... si lascia "catturare". In amore comunque si corrono dei rischi che necessariamente bisogna correre. Come scrive lo scrittore Daisaku Ikeda "Per fare esperienza di questa energia vitale è importante prendere l'iniziativa. Dovremmo stabilire degli scopi personali e lottare per realizzarli. Quando ci si sforza al massimo per uno scopo e lo si raggiunge si vive una grande gioia".
La banalità come va debellata nel dichiararsi, nell’aprirsi amorevolmente?
L'amore è fatto di cose semplici; da che mondo è mondo l'incontro fra due persone è fatto di gioco di sguardi, di ammiccamenti; un giocare a nascondersi e rivelarsi. Poi ognuno è artefice del proprio modo di dichiararsi: oggi si cerca a tutti i costi l'originalità perché si è vittime della condivisione dei propri sentimenti; la dichiarazione deve essere sensazionalistica, quando invece penso che sia un fatto privato, intimo. Un misto di imbarazzo e pudore, paura e vergogna. La banalità penso che sia inevitabile; se per banalità intendiamo il dono di un fiore, di un cioccolatino, di un bigliettino fatto scivolare furtivamente fra le mani dell'innamorata. La dichiarazione d'amore è una..."sciocchezza" che si ritualizza, sempre, uguale a se stessa.
È elettrizzante sentirsi amanti sia in privato che in pubblico?
Se l’amore è proibito, ed è allora certamente elettrizzante, reca un misto di fascino e paura; una sfida. Se, al contrario, "amante" lo si coglie nel suo significato, cioè participio presente in quanto "colui che ama"... cosa c'è di più bello che rivelare agli altri il proprio amore...? Anche questo può essere un modo per sollecitare l'invidia o l'ammirazione.
Quando ci si arriva a dire “ti voglio bene” è un brutto segno?
Detto in principio è il primo passo verso il fatidico "ti amo", a volte lo usiamo per nascondere il nostro vero sentimento e usiamo l'espressione fino a quando sboccia l'amore, fino a quando non si possono trattenere le famose due paroline. Se pronunciato quando il sentimento sta scemando o, ancor peggio, quando l'amore non lo si prova, allora è decisamente un brutto segno.
Ma dell’amore si butta via niente, è come con il maiale in pratica?
Non ci ho mai pensato; quando si ama, se si ama, si ama totalmente; tutto è bello, vissuto intensamente.
Perché l’amore oggettivamente non vince? Il distacco generazionale per esempio, depotenzia l’idea di amare?
Mi viene in mente una frase a me molto cara, di Dostojevski: "L'uomo è cattivo perché non sa di essere buono". Ecco, amplificando il significato della parola Amore, direi che purtroppo nelle vicende della vita il male ha spesso la meglio sul bene; il bene è insulso: quanti problemi potrebbero venire risolti se l'uomo pensasse veramente col cuore? So di essere banale con questa risposta, eppure sono convinto, quasi donchisciottescamente, che l'amore può e deve vincere. Sempre. In una relazione di coppia si vince e si perde insieme, non c'è un vincitore e non c'è un vinto. In amore si vince solo se si lotta, se si crede che valga la pena di stare insieme. Il distacco generazionale è certamente un problema. Il divario di idee, di opportunità, di occasioni di confronto, nelle generazioni attuali - sempre senza generalizzare - c'è, è palpabile. Non è un segreto per nessuno che da sempre ci sono state le differenze generazionali; oggi sono maggiormente accentuate a seguito dell'imperversante tecnologia, dell’incapacità di costruire un dialogo in seno alla famiglia che tende a delegare. Tutto questo, e forse non solo questo, contribuisce a depotenziare l'idea di amore e la capacità di amare. In una società consumistica, dove tutto è usa & getta anche l'amore probabilmente paga il suo scotto. Pensiamo alle relazioni e a come finiscono: non c'è oggi la capacità di sopportare un rifiuto, ci si lascia con un messaggio. La sfera del sentimento s'impoverisce, si svuota della sua essenza. Sento tanto parlare di "educazione al sentimento"; se non facesse piangere ci sarebbe da ridere, eppure oggi sembrerebbe una necessità.
Bisogna essere intelligenti per far sì che…?
... si continui ad amare? Ci vuole soprattutto rispetto; ... se l'amore finisce? Sì ci vuole buon senso perché si sa che le storie d'amore finiscono, ma la vita continua. Si sta male, senza dubbio, ma poi c'è un'altra occasione. Come ho scritto io nel prologo del mio libro, "gli amori hanno un finale ma mai veramente una fine". Continueremo ad amare con nostalgia chi ci ha amato, e amiamo chi ci sta vicino perché un amore, lo si veda da qualsiasi prospettiva, è sempre... per sempre.
L’approfondimento di un aspetto delicatissimo dell’animo umano, ovvero degli amorosi sensi, viene rappresentato facendo attenzione a qualsiasi comportamento dettato dal cuore, rilevabile donandosi, cioè presi da un vortice generabile rimarcando due elementi propositivi: quello della seduzione, alternabile con l’appuramento in fase contemplativa.
Mohorovich riesce a cogliere tutte le sfaccettature di un dono d’amore non eccedendo e soprattutto non innervosendosi, cioè ben lungi dall’incisività dei legami spezzati; e comunque non occorre scandagliare il vissuto del poeta, e dunque non serve aderire alla realtà per argomentare in questa circostanza, perché, già col fatto di sognare, le volontà che suscitano maggiormente e propriamente intrigo si possono risolvere, decretando passioni in attesa semmai d’essere raccontate, e magari sotto forma di poesia!
L’idea di amarsi viene distinta in un tris di momenti (egregiamente riprodotta anche con le raffigurazioni di Stefano Chiacchella): quando si comincia, quando ci si unisce e quando tutto sembra cessare… cosicché una relazione tra due persone è in grado di comportare il senso dell’infinito, la lettura del cuore per salvarsi sempre, nonostante certe tensioni possano alterarsi con le immersioni nella ragione.
All’inizio, tra i versi di tredici poesie, Mohorovich mira a descrivere le emozioni nel tentativo di approcciarsi con una lei che ti fa battere forte il cuore, e il lettore può notare come sia meraviglioso dichiararsi in teoria; la bellezza dell’innamoramento che profuma le cose in libertà, con tenera leggerezza.
Pagina dopo pagina i versi sembrano somigliare a delle sferzanti sequenze cinematografiche, proprio quelle che hanno graffiato l’immaginario degli appassionati di cotanta arte; se non di coloro che si sono sentiti felici seppur per brevissimo tempo, ben consapevoli che specialmente i saldissimi legami celano cattive sorprese.
“Ci abbandoniamo ai nostri sguardi
cercando una risposta
nel fruscio del vento”.
All’improvviso, ingenuamente, prende forma come minimo quel contatto visivo tra due persone, ed è in particolare la donna a manifestarsi… e cioè due esseri viventi che possono legarsi per sortire l’assoluto, educando artisticamente con un’occhiata, un cenno d’intesa, a forza anche di parlare o di compiere un’azione all’apparenza innocua, insomma… per assicurarci il più bel dubbio, che pulsa nel baciarsi, nel desiderare di centrare l’infinito assonnato magari allo scorgere dell’aria che tira, tra le luci stressate dei veicoli quando a fine giornata si preferisce tacere.
Bruno sollecita l’appetito dei sensi mirando al passato, fertilizza pazientemente speranze dato che viene naturale fantasticare, tutelarsi dall’incipit globalizzante; ritraendo chi ami per mezzo della tua vita, un soggetto lacrimoso e al contempo insabbiante, capace di ledere mentre piove e non v’è riparo oltre all’aria sferzante, che sembra parlarti.
Una relazione sembra non sbloccarsi, schiarendo od oscurando una meta, cosicché tacendo Bruno si distacca per svanire nel turbinio dell’altrove non cercato dalla sua Lei… però alla fine egli ricompare in tutta un’angoscia non sfogata, di stretta appartenenza se si ama, se tenti di comunicare qualcosa di speciale, che non fa altro che barcollare al di fuori della quiete dello sguardo rivolto a nessun altro se non a te!
Mohorovich divincolatosi nella quiete esprimibile dal firmamento raffigura una donna stanca e chissà se integrante pur accontentandosi lui di uno spazio esiguo, senza nemmeno apparire… la rilevanza consiste nel trasparire fisicamente per dichiarare delle volontà poetando e confermare la straordinarietà dell’essere umano, personalmente, pur infastiditi da uno spirito virulento, vagante nella consapevolezza legante sensi d’approfondire.
“ Sei la ricerca delle parole
sei le parole che non trovo
per continuare a dirti: “sei!” ”.
La contemplazione vale la cura per i sogni altrui, necessaria per montare palcoscenici e commuoversi in definitiva, riflettendo sulla considerazione che persiste, per chi si attiva in balia dei sentimenti, ma positivamente; invece di perdersi nella limitazione di un destino, nell’oscuramento di attese illuminanti se s’intende andare oltre, fagocitando l’impossibile.
Il fatto di stare alla larga da un soggetto della natura, sradicato e trascinato dalle correnti d’aria, non avrebbe senso, perciò il poeta baderebbe a conservare nella sua pelle parole di un effetto dovuto solamente dalla sensibilità dell’anonimato; come se consapevoli del percorso da fare, ma anche di perdersi a un certo punto, ossia nodale.
L’importante è sapere che una persona a te cara stia bene, che si emozioni quindi anche e soprattutto leggendo parole da rendere pubbliche senza poi essere censurati, non condizionate dal pensiero che possano tornare al mittente e magari inspiegabilmente… altrimenti per un poeta come Mohorovich il bisogno di libertà varrebbe una prigione, quella più dura.
“Non ti devo più parlare…
Non ti devo più chiamare…
Non è vero.
Non posso smorzare la mia voce
così, come far calare il buio in una stanza
far rinsecchire le radici di una pianta
privare di goccia la pioggia.
Non posso”.
Bruno Mohorovich è nato a Buenos Aires il 3/3/1953, istriano d’origine attualmente vive a Perugia.
Laureato in Sociologia e Lettere, si è sempre occupato di critica cinematografica e didattica del cinema nella scuola; ha collaborato come critico con settimanali, emittenti radiotelevisive e con giornali web (“pressitalia.net”; “umbriaecultura.it”).
Cura eventi di scrittura e pittura.
Critico d’arte, organizza collettive di pittura ( “La città tra desiderio e utopia”, 2015 Perugia; “Punti di vista”, 2017 Spello) e fotografia (“Tramonti”, 2018 Passignano sul Trasimeno; “Assolo” 2018 Perugia; “Le Valentine” 2018 Terni).
Nel 2015 ha diretto il corto sul XX Canto dell’Inferno della “Commedia” di Dante, nell’ambito delle celebrazioni per la nascita del sommo poeta, promosso dalla Loescher Editrice e dall’Accademia della Crusca ottenendo il Primo premio exaequo alla Fiera Internazionale del libro di Torino.
Ha curato la pubblicazione “Saulo Scopa – fotografie e cortometraggi 1998 – 2008”, e per le edizioni AIART – Associazione Spettatori “Cinema in… – 3 voll.”.
Ha pubblicato per Era Nuova “Nuovo Cinema…scuola”, e per i tipi della Bertoni Editore, i libri di poesie “Storia d’amore – una fantasia”, e “Tempo al tempo”.
Le sue ultime pubblicazioni le ha dedicate alla città di Perugia, “La città tra desiderio e utopia”, e a Pesaro con la raccolta di scritti “Atarcont – impressioni pesaresi”.
Ha ottenuto riconoscimenti e menzioni in vari concorsi letterari nazionali e internazionali.
Attualmente sta curando un’antologia di poesie “Marche - omaggio in versi” e una collana di poesie per conto della Bertoni Editore.
Vincenzo Calò
Per un'altra intervista di Vincenzo Calò con Bruno Mohorovich, cliccare qui.
Si puo' definire amore tutto quello che e' rispetto e sentimento profondo. Chi ama chi desidera passionalmente e in ogni istante ama se stesso
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